graziano.bernardini


Ciao Graziano!

Patrizia Dini, Matteo e Tommaso Bernardini e le loro famiglie, comunicano che Graziano Bernardini è mancato all’affetto di tutti.

Si ringraziano le cognate e i cognati e le loro famiglie, i cugini e tutte le persone che gli hanno voluto bene per l’attenzione con cui hanno seguito la sua lunga malattia.


Domenica 13 marzo è esposto nella cappella della Misericordia di Pontedera in Piazza Duomo (fino alle 20).

Lunedì 14 marzo da mezzogiorno fino alle 15.30 si trova nel cimitero di Buti dove avviene la tumulazione.


INTRODUZIONE ALLE VEGLIE

“Nella sera fredda e scura
presso il fuoco del camino
quante storie quante fiabe
raccontava il mio nonnino…”

Ai meno giovani gli basta un’occhiata sul primo verso per ricordare l’ “aria” di una popolarissima canzone di allora, ma per i giovanissimi va detto che si tratta di “Aveva un bavero”, presentata al Festival di Sanremo nel 1954.
E’ vero che nel decennio, a cui facciamo riferimento, i grandi baveri (a ciambella, sciallati, alla marinara), sono stati dei dominatori, ma intesi come colletti “’un c’entrano né pogo né punto“. Invece è acuto il tema introdotto dai versi iniziali. A noi, bimbi in quegli anni, infatti, quei pochi righi rievocano un tempo segnato da lunghi inverni e da tante sere passate a veglia, dove tutto incuriosiva ed era importante. Ci si riuniva davanti al fuoco e i nonni (per me i nonni erano il babbo e la tata Giorgia) raccontavano e commentavano. Ogni ricordo e ogni novità, nel clima delle veglie, erano così “sentiti“, che assumevano la dimensione di grandi fatti e grandi cose. Le veglie più attese erano quelle del periodo natalizio: le misere cose che si preparavano allora, i racconti e quel che si diceva d’altro divenivano il simbolo di quei momenti di festa.
Se riandiamo a quel tempo passato così, in seno alla famiglia, con i discorsi di casa e senza nessun’altra pretesa, oggi sembra un tempo fuori dalla realtà. Ma quegli anni ormai andati, rimasti là fermi, statici, secondo me dimostrano quanto sia sbagliato il classico “pensierino della sera”: “Come passa il tempo”: non è il tempo che passa, siamo noi che vi entriamo e lo attraversiamo.

F.M.V.


tempo di scuola, tempo di Eunica

Io sono stata con l’Eunica da quando sono nata. Fino all’anno scolastico 1952-‘53, si può dì’ che non la conoscevo nemmeno, ma nella casa di Puntaccolle, anche se non c’è mai stata, era come ci fosse sempre. Era l’ Angiolina, la mamma del suo marito Ranieri, che in casa mia c’era sempre; lei era proprio di famiglia. E anche Ranieri ci capitava spesso: tutte le volte che non trovava a casa la mamma (stavano a San Niccolaio) passava dal rio, di volata montava le scalacce e veniva su anche lui.

Ritorno un momento sull’Angiolina: anche se ormai eravamo negli anni cinquanta, teneva ancora i classici mutandoni dell’ Ottocento; quelli di “ghinea”, aperti sui fianchi e legati con le cordelle, ma anche lunghi fino ai ginocchi tanto che, quando si chinava, si vedevano bene anche dai vestiti.
Fino alla fine degli anni novanta, quando l’Eunica è venuta a trovarmi, abbiamo sempre ricordato questo particolare sull’Angiolina e sempre ci ha fatto ride’.

Vengo a concludere questa premessa riproponendo l’episodio sulla scuola elementare pubblicato su “Il Paese” nel novantasette.

La Scuola Elementare

Le prime cose che mi vengono in mente sono sempre le medesime:la cartella di cartone, i quaderni neri con l’ etichetta bianca (che costavano quindici lire); i calzettoni  a coste fatti a mano e “i nonni e gli sciantillì” (le pantofole e i gambali). E poi i grembiuli; quei grembiuli che in corrispondenza del taschino riportavano, ricamate, le iniziali del nome e sotto il nome un numero di linee pari alla classe che si frequentava. I bimbi le iniziali e i “gradi” l’avevano proprio sul taschino della “bruse” e i “carzoni” li portavano ancora alla “zuaba“.

Le cartelle erano leggerissime. Non solo perchè erano di cartone, ma perchè contenevano poco, molto poco: due o tre quaderni, il libro di lettura e, dalla terza in poi, il sussidiario. Oltre a questo, però, c’era l’indispensabile astuccio di legno corredato del porta-pennini. Quello sì che era ben fornito! Costituiva infatti l’unico lusso. Ed anche una certa “potenza”: quella del commercio-scambio dei pennini. Gli incovenienti  non mancavano, infatti le “patacche” d’inchiostro erano dappertutto. La brava “cartasuga” faceva il suo dovere, ma purtroppo asciugava soltanto. E la cosa andò avanti per anni, perché la scuola elementare si terminò con “penna e calamaio“.

Di maestre, ovviamente, ne avevamo una sola, anzi meno che una, perché se la nostra era assente, si andava tutti nella classe parallela. L’altra maestra anche per più giorni ci accoglieva tutti, sia pure in tre nel banco.

E la nostra maestra? Negli ultimi tre anni abbiamo avuto sempre la stessa ed il suo ricordo è rimasto indelebile a tutti. Io la “rivedo” anche adesso, come in fotografia mentre spiega la poesia “Il Parlamento“. Appoggiata in piedi davanti alla cattedra rivolta alla classe; con la vestaglia nera fatta a “portafoglio” e i capelli rossi ondulati che le scendevano sul collo.

A noi bimbe c’insegnava anche un po’ a cucì‘. Il mio compito di lavoro era un bavaglino bianco di picchè da orlare di rosso con il “punto a smerlo“. In più a questo, lei mi ci aveva disegnato “non baciatemi” da ricoprì’ con il punto  “a gambo“.  Tutte   le  volte  che lo prendevo in mano Alberto, Alberto di “Teto”, puntualmente esclamava: – “O’ bimba, o chi ti bacia”? – Eh, sì! Alberto e Massimo (del Nino) tiravano a fà’ ride‘. Massimo ne inventò una anche quando si fece l’unica fotografia (preziosa è dir poco) di quei tre anni: si mise in posa come una statua e stette a occhi chiusi apposta per ride‘. E poi c’era il Priori. Definì’ Renzo Priori con esattezza non è semplice, ma s’intende con una parola: un compagnone. Sempre pronto a fà’chiasso e a mette’ becco su tutto e con tutti. Persino al momento delle interrogazioni anche se impreparato (il suo forte era la storia) era sempre con la mano alzata.

Ogni occasione era quella giusta per divertirsi, anche la più banale. Si ripetevano ad esempio le preposizioni semplici “diadainconsupertrafra” tutte insieme così velocemente che “quella” maestra doveva faticà’ non poco per capì’ cosa si diceva. Oppure, sempre per sollevà’ distrazione, si pronunciava la parola “anèddoti” con l’ accento sbagliato, cioè “aneddòti”. Aveva voglia la maestra di insiste’ perché si pronunciasse correttamente . Era inutile!

Ma alla confusione più totale in assoluto ci si arrivò durante la recita della poesia: “La fontana malata” di A. Palazzeschi. Recità’ a turno una poesia che deve trasmètte’ gli strani rumori di una fontana che non gocciola più fu come trasformà’ la classe in un manicomio. Un punto, poi, era particolarmente terribile. Chi tossiva, chi affogava, chi rantolava. Ed anche in questa circostanza, “quella” maestra si sgolava tanto per riportarci alla normalità. Ma c’era un momento che anche lei partecipava alla nostra vivacità, era il magico momento che si cantava. E lei, con tantissimo entusiasmo, cantava con noi una canzoncina piacevolissima che ci aveva insegnato: “La cornacchia del Canadà“:

“Un giorno la cornacchia se ne stava sopra un pino
il corvo da lontano le faceva l’occhiolino,
ma la cornacchia bella si rideva di quell’amor
perché era innamorata di Cecchino il cacciator.
Oh bella, oh bella, oh bella
la cornacchia del Canadà
che si era innamorata,
innamorata da far pietà “!

ecc.

Grazie Eunica !

Maria Vittoria Filippi


l’importante figura di Don Giancarlo Ruggini

Rovistando tra i tanti materiali ammucchiati, frutto delle iniziative intraprese in decine di anni, ho rintracciato la registrazione di un dibattito tenutosi in paese nel 1968 tra due sacerdoti, Don Ruggini e Don Borla con oggetto “Le dimensioni religiose dell’uomo moderno”. Il confronto fu organizzato nell’ambito del corso “Licenza Media per tutti” tenuto da giovani comunisti e giovani cattolici.

Allego il numero 6 anno 2008 de “Il Paese”, che ricordava l’evento e il file audio della conferenza in cui si possono apprezzare appieno la modernità delle affermazioni del prete di San Miniato.

                                                                                                         Graziano

Il Paese n. 6 anno 2008

Prima Parte

Seconda Parte

Terza Parte


l’ultima veglia

La veglia in questione era quella dell’ultimo giorno di “Carnovale“. Occasione  specialissima soprattutto per i bimbetti, appariva come una festa, tutta chiasso e allegria. In realtà si trattava di semplici raduni di vicinato: ci si riuniva, quattro o cinque famiglie, nella casa che a turno offriva la veglia. Venivano preparate piccole cose come dolcetti tipo “frati o cenci“, ma anche cantuccini o “grattacaci”  andavano bene lo stesso.

Quello che non mancava era il “ponce“ e soprattutto il vino. “Per bé’ e ribé’ ci voleva ‘r vino”! E di questo ce n’era un paio davvero convinti: il mi’ babbo, che pur reggendo “l’anima co’ denti” di vino ne reggeva parecchio, e il Moro. Il Moro mesceva vino e cantava più di tutti. E più le “beute” facevano effetto, più crescevano le cantate. Quando il Moro partiva con:

“ Vien, vien, vien ricciolino d’amor

  bada ben che la mamma non veda

  bada ben che la mamma non senta

 Vien, vien, vien ricciolino d’amor … “

si sentiva da tutto Puntaccolle e anche dal Fontino.

Meno male che qualcuno aveva un po’ più di senno e ad un certo punto tirava indietro, altrimenti si faceva tutti giorno.

La mattina dopo, per noi ragazzi, era il giorno più mogio dell’anno. Con il divertimento della sera prima già al passato remoto, non ci rimaneva altro che pensare al carnevale seguente.

F.M.V.

 


Fine anno e Befana

La veglia dell’ultimo dell’anno era su per giù come quella del Ceppo. I grandi godevano di un “caffè bòno” macinato in casa, e noi bimbetti si mangiucchiava quel ch’era rimasto del Natale che vuol dire noci, fichi secchi e cavallucci e difficilmente s’aspettava la mezzanotte. Però, una piccola novità in casa mia capitava. Il babbo, proprio la sera dell’ultimo dell’anno, portava un piccolo calendario molto molto carino. Era il calendarietto d’auguri che Ezio, il barbiere, regalava ai clienti. Illustrato con maliziose donnine anni venti e rilegato col cordoncino e la spannocchina, aveva un’altra, grande virtù: era profumatissimo.
Invece, la veglia della Befana era tutt’altra cosa e per i bimbetti butesi era serata davvero eccezionale. Innanzitutto, s’aspettava una Befana che si “conosceva”, la Befanina di legno che la Cirimbrentola metteva nella vetrina della sua bottega in Via di Mezzo. Una Befanina che muoveva la testa e incantava tutti i ragazzetti. In più a questo, quella sera lì si entrava di nuovo nella magia della sera “der Ceppo”, quando “si ‘spettava ‘r ciuco” (non certo Babbo Natale) davanti al camino con il grande fuoco. L’arrivo della Befana e di quelle poche cose che lasciava nella calza, era attesissimo da tutti i bimbetti.
La calza si preparava con entusiasmo molto tempo prima: o di balla cucita alla meglio o fatta con i ferri con qualche “fondo” di gomitolo colorato, ma quasi sempre era semplicemente “un carzerotto”. Dopo cena sattaccava al gancio del paiolo, o ai ganci che erano dentro il camino, quelli della paletta e delle molle e poi s’andava a letto presto.
La  mattina dopo si correva a vedere quel che c’era col “core ‘n gola”: il timore del carbone c’era sempre, anche se la canzoncina di rito prometteva bene:

“La Befana è tinta e nera
quando viene dal camino
e lo porta un sacchettino
pien di zuccherini e mela…”

Le “mela” non c’erano, ma era piena lo stesso. C’erano i mandarini piccini piccini e gli zuccherini. Gli zuccherini erano tanti, anche se solo pasticche e caramelle.

F.M.V.


Olivi , facciamo il punto

Vogliamo dire la nostra sui problemi che affliggono quel che resta dell’ olivicoltura facendo riferimento a quanto è stato scritto nel programma elettorale da “Insieme per Buti”. Perché non ci siano fraintendimenti ci dichiariamo disponibili da subito ad essere parte attiva perché si riesca a rispondere alle domande pressanti che ci vengono poste da una situazione che è, a dir poco, drammatica.
Va premesso che l’Oleificio Sociale è oggi l’unico soggetto operante nel Comune raccogliendo una miriade di piccoli produttori, per lo più pensionati, gente ormai sul viale del tramonto. A questi si aggiungono le pochissime aziende (si contano sulle dita di una mano) esistenti sul territorio. Sono questi i soggetti prioritariamente interessati ad arginare il fenomeno dell’abbandono degli oliveti con le conseguenze disastrose che sono sotto gli occhi di tutti: vaste superfici ad oliveto lasciate incolte, muretti franati, le antiche opere di regimazione delle acque distrutte, condizioni di lavoro incivili in molte località per la mancanza di strade interpoderali, reddito insufficiente. Si diceva prioritariamente interessati perché insieme a questi è la popolazione tutta a esigere che vengano evitati i potenziali esiti catastrofici che seguirebbero al completo degrado della coltivazione nella vallata potenziale preda di incendi devastanti.
Al di là dell’interesse di bottega che un’azienda come la nostra deve aver ben presente se non vuole mettere in discussione la sua stessa esistenza, è la nostra storia vicina ai cinquant’anni e il fatto stesso di essere frantoio cooperativo che ci impone di ricoprire un ruolo in tutte le azioni tese ad impedire l’estinzione della coltura.
Cosa ha determinato questa condizione che possiamo definire di vero e proprio sfacelo? In primis hanno giocato politiche generali non lungimiranti. Non si è capito, a tempo debito, e cioè al momento della scomparsa del contratto di mezzadria e di una piccola proprietà a cui non era garantito un reddito sufficiente, come si doveva intervenire perché rimanesse un presidio attivo nelle campagne.
L’Oleificio Sociale ha cercato da sempre di arginare questa china distruttiva essendo protagonista negli anni settanta e successivi della costruzione delle strade interpoderali e della distribuzione di mezzi tecnici (reti per la raccolta, concimi, agevolatori, ecc.). Tra le altre azioni sono apparse prioritarie e di approccio possibile quelle rivolte al controllo dei parassiti. E qui si è fatto fronte negli anni organizzando in proprio un servizio di lotta guidata alla mosca. Fino alle due ultime campagne dove, con il contributo del prof. Petacchi della Scuola Superiore di S. Anna, abbiamo posto in essere un capillare reticolo di rilevazione controllando settimanalmente il grado dell’eventuale infestazione. I dati sono stati utilizzati per produrre informazioni divulgate poi attraverso un sistema diffuso sul territorio.
Altra difesa è il prezzo elevato che viene riconosciuto ai soci per l’olio conferito, prezzo tra i più alti. Non paghi, a questo proposito, presentiamo sul mercato un nuovo prodotto certificato IGP denominato “Il primo di Buti” che ci dovrebbe permettere di liquidare ai conferitori 12 euro al chilogrammo! Una vera e propria vetta del prezzo liquidato al produttore, finora impensabile. Il tentativo di incoraggiare alcuni a ricreare vere aziende.
Ma andiamo a vedere nel programma elettorale gli obiettivi che si prefigge di raggiungere l’Amministrazione Comunale:
– incentivare il recupero degli oliveti abbandonati;
– finanziare il restauro dei muri a secco;
– promuovere progetti scientifici;
– rilanciare “Buti città dell’olio” con una campagna di marketing;
– favorire l’imprenditoria giovanile;
– promuovere la nascita di consorzi per la costruzione di nuove strade interpoderali.
A stretto giro, ci si presenta una prima opportunità e una prima scadenza per dare concretezza ad un programma così ambizioso: l’elaborazione di un PIT dei Monti Pisani insieme agli altri comuni dell’area (Calci, San Giuliano Terme, Vecchiano, Vicopisano e Capannori), soggetti privati della Lucchesia (Frantoio Sociale del Compitese e loro soci) e del versante pisano (Frantoio di Caprona, noi e decine di produttori, compresi i piccoli conduttori non imprenditori agricoli a titolo principale. La scadenza è fissata entro la metà Gennaio 2017 e pertanto assai ravvicinata, ma assistiti da tecnici ce la possiamo fare. L’impegno dell’Amministrazione Comunale e nello specifico dall’Assessore al ramo Luca Andreini è stato fin qui lodevole.
Va detto preliminarmente che i Monti Pisani è zona disastrata ad un punto tale che ci dovrebbe far beneficiare di maggior punteggio. Ci si chiederà cos’è un PIT (progetto integrato territoriale)? I documenti reperibili anche su internet lo definiscono “come un progetto di natura strategica, promosso da un partenariato locale pubblico-privato, finalizzato a sostenere, in un ambito territoriale delimitato, un insieme organico e coerente di azioni capaci di convergere verso un obiettivo comune riguardante specifiche tematiche, in particolare, quelle che richiedono un’azione collettiva (come quella ambientale di conservazione e miglioramento del paesaggio, biodiversità, tutela risorsa suolo, ecc.) o quelle innovative, che trascendono la singola azienda e vedono l’interazione dinamica di più attori del territorio, come nel caso dell’agricoltura sociale. L’obiettivo del Pit è, quindi, il consolidamento di buone pratiche di governance locale in ambiti innovativi e coerenti con gli obiettivi e le strategie del Psr. In tal senso, il Pit può: (a) coinvolgere e aggregare attori economici, sociali e istituzionali diversi attorno ad una specifica problematicità o opportunità e, quindi, consolidare e valorizzarne il ruolo sul territorio; (b) promuovere processi partecipativi in grado di individuare e attuare soluzioni strategiche per lo sviluppo sostenibile del territorio rurale; (c) sviluppare l’innovazione organizzativa e gestionale; (d) incrementare il valore aggiunto dei singoli interventi interessati.
Tali obiettivi possono trovare realizzazione attraverso la ’integrazione interna’ al Psr di un insieme di azioni riconducibili a misure dei tre Assi 1, 2 e 3, e la promozione di una ‘integrazione esterna’ con progetti e iniziative riconducibili ad altri ambiti di programmazione e progettazione esterne allo stesso Psr“.

I contributi per il rifacimento di muretti, di opere per la regimazione delle acque, ecc. coprono spesso il cento per cento della spesa finanziando, nei casi in cui i produttori abbiano la fisionomia dei piccoli conduttori, anche l’IVA.
Molto può essere fatto se il PIT Monti Pisani verrà finanziato dalla Regione, e altro sarà possibile fare con misure specifiche del Piano di Sviluppo Rurale per completare il reticolo delle strade interpoderali.
Il tutto è finalizzato ad ottenere una conduzione dell’oliveto più razionale raggiungendo un reddito che sia sostanzialmente diverso dall’attuale. Se così fosse si avrebbe un consistente incremento di prodotto di qualità per il mercato perché attualmente “l’olio di Buti non c’è”!

il Frantoio Sociale


Libertà è partecipazione

loghi

La Costituzione fondata sul lavoro, figlia della Resistenza antifascista, è un bene prezioso e irrinunciabile. Per 70 anni ha tenuto insieme il Paese in decenni difficili, caratterizzati dalle trame  fasciste e stragiste, dal terrorismo e dall’assalto alla giustizia.
Domenica 4 dicembre il popolo italiano lo ha riaffermato, con una  grande partecipazione ed a schiacciante maggioranza, respingendo  il tentativo di stravolgerla.
L’Anpi, l’Arci e la Cgil di Pisa si sono impegnati fin dal mese di aprile, su tutto il territorio della provincia in una campagna di iniziative finalizzata a far conoscere i contenuti delle proposte di modifica ed infine a sollecitare un NO consapevole, responsabile, libero e democratico.
Si ringraziano tutte e tutti coloro che hanno contribuito a determinare questo importante risultato, a partire da quei Costituzionalisti che hanno messo a disposizione, con spirito di servizio ed in maniera disinteressata, il loro impegno e le loro competenze.
L’Anpi, l’Arci e la Cgil di Pisa continueranno nel loro impegno quotidiano per sollecitare la piena attuazione della Costituzione Repubblicana, fondata sul lavoro e sui valori della Resistenza antifascista, ed a sostenere ipotesi di aggiornamento e manutenzione della stessa che siano frutto di ampie e condivise iniziative parlamentari.

BRUNO POSSENTI (Anpi Pisa)
GIANFRANCO FRANCESE (Cgil Pisa)
STEFANIA BOZZI – SERGIO COPPOLA – MARIACHIARA PANESI (Arci Pisa)


Per il NO al referendum

Lunedì 28 novembre, alle ore 18, nei locali del Circolo ARCI “G. Garibaldi”
(piazza G. Garibaldi 1, Buti) g.c. si terrà un incontro con

BRUNO POSSENTI
Presidente provinciale ANPI Pisa

ANTONIO LETTA
CGIL provinciale

MARIA CHIARA PANESI
Presidente ARCI VALDERA

Tutta la cittadinanza e’ invitata a partecipare per
confrontarsi sul voto nel prossimo referendum del 4 dicembre.


La mano della morta

In quegli anni, il mese di novembre era dedicato alle paure. Nelle veglie, discorsi, racconti e novelle vertevano obbligatoriamente sull’argomento. A noi ragazzetti ci garbavano moltissimo le novelle, e anche se mezzi morti di paura si stavano “a sentì’” a bocca aperta, fermi, cheti e ghiacci come statue.
Questa che segue impauriva più di tutte, impauriva anche “i grandi”.

Il posto in questione è un paesetto di povera gente, dove l’unico scopo della vita è quello “di campà”. Nemmeno i giovani si possono permettere di guardare avanti, tanto il futuro sarà come il presente e il passato. Ma qualcuno ambizioso c’è; qualcuno che si arrovella su come fare per uscire da quella trappola fatta di miseria. Trattasi di un giovane garzone, che proprio per le mansioni che svolge, è a contatto con la signoria, a cui fa le commissioni. E ogni volta che ritorna nel proprio povero mondo, si rode di non poter vivere meglio.

Un giorno vede passare il funerale di una vecchia signora che abitava in una villa appena fuori dal paese. Una vecchia signora molto ricca. Il giovane l’aveva sempre sentito dire che quella gente eran “gente ricche”. Così un pensiero gli frulla in testa all’improvviso, un pensiero assurdo e ripugnante. Prova a cacciarlo indietro, ma invece d’andargli indietro gli se ne presenta un altro che gli suggerisce: – Se va bene “svòrti” – .

Il giovane deciso corre a casa, mette in un sacco alla rinfusa attrezzi e arnesi che gli possono servire e corre al cimitero dirigendosi alla cappella dov’è deposta la vecchia signora. I mattoni sono ancora “freschi” e li rimuove con facilità. Difficile, invece, è sollevare il coperchio della cassa, ma il tempo non gli manca, a davanti a se la nottata. Con determinazione si mette all’opera e finalmente la cassa è aperta. La vecchia signora se ne sta lì col volto coperto da una veletta nera, e le mani, appoggiate sul seno, stringono un preziosissimo rosario, al collo ha un filo di perle e le dita sono adorne di anelli; specialmente quelle della mano sinistra. Questione di secondi e tutto finisce in un sacco. Solo gli anelli della mano sinistra, che sono i più belli, non riesce a sfilarli. Rimane un po’ indeciso se lasciarli o provare ancora. Poi, imprecando riprova, ma “quell’anelli ‘un volevan sortì”. Allora prende il coltello e in corrispondenza del polso taglia la mano e butta nel sacco anche quella. Quindi, “in un baleno” è a casa, dove rimpiatta tutto quanto.

Dopo qualche tempo, “calmate le acque” agitate dal fattaccio successo al camposanto, comunica a parenti e amici che gli è stato offerto un buon lavoro in città e li si trasferisce.

Oggi è un anno da quando il giovane garzone ha combinato quello che ha combinato; un anno esatto da quella notte. In città una casa da gioco è ancora illuminata, da cui esce un uomo elegantissimo. E’ il giovane garzone che ha appena festeggiato il suo primo anniversario di ricchezza ed ha fretta; a un’ora così tarda teme di non trovare più vetture. Invece, ecco che arriva una lussuosa carrozza nera, il giovane sale e fa un cenno all’ossequioso cocchiere e la vettura parte. Dopo un buon tratto di strada la carrozza rallenta e il giovane chiede spiegazioni al vetturino. Quello gli dice che un po’ più avanti, al lato dello stradone, c’è qualcuno con un lume in mano. È una signora avvolta in un ampio mantello nero col cappuccio rialzato e la veletta sul viso, che chiede gentilmente di essere riaccompagnata a casa. Il giovane acconsente e ripartono, ma dopo un po’ di minuti si rende conto che la direzione presa dalla vettura non è quella giusta e lui si sporge dal finestrino e chiede di nuovo spiegazioni al cocchiere, ma questo anziché rispondergli frusta il cavallo che ora corre come il vento. Poi, all’improvviso la vettura si ferma. La signora guarda fuori e dice di essere arrivata. Anche il giovane si rende conto di essere davanti al cimitero, “a quel cimitero”. La vecchia signora sta scendendo con un po’ di difficoltà e lui, benché sconvolto, le chiede la mano per poterla aiutare. Così lei tira fuori dal manicotto il moncherino e alzandosi la veletta gli dice: – Te ce l’hai la mia mano!Te la sei presa con i miei gioielli – . Il giovane rimane inchiodato dal terrore e non riesce a muoversi. Istintivamente si guarda intorno e cerca la carrozza che non c’è più. La vecchia signora ora nella mano destra stringe una falce, e con occhi rabbiosi continua: – Hai profanato la mia tomba e mi hai mutilato. Ora pagherai-. Detto questo alza l’arma e lo ferisce mortalmente.

F.M.V.


Un museo a cielo aperto

Nei primi anni ’70, due scultori dilettanti, Franco Caturegli di Cascine di Buti e Pierino Palotti di Vicopisano, armati di scalpello e martello, iniziarono a trasformare i massi lungo la strada del Serra in vere e proprie opere d’arte.

Pierino Palotti lavorando per due anni, principalmente nei mesi estivi, realizzò due sculture figurative che si trovano in alto sulla curva , dove inizia il sentiero che conduce al ”Sorbo”, mentre quelle di Franco Caturegli più astratte e influenzate dalle conquiste spaziali, sono soprattutto ai margini della strada che dalla curva per il Sorbo va fino a Prato a Calci. Le opere del Caturegli sono numerose e hanno richiesto un lavoro di una decina d’anni, dal 70  ai primi anni 80. Sono tutte sculture eseguite con la tecnica dell’incisione o del bassorilievo; alcune, poste a diversi metri di altezza, hanno richiesto notevoli sforzi fisici talvolta in condizioni pericolose .

Ora restano (dove la vegetazione non le ha sommerse) un esempio di capacità e passione alla portata di tutti coloro che con lo sguardo le vanno a cercare.

Claudio Parducci

Pierino Palotti

2023

Franco Caturegli

58 81 64

83 41 65 85 46 66 86 54 73 88


Il contributo decisivo di Stefano

Il 1 Agosto 2016, scritto il trafiletto su “La nostra marcia funebre”, abbiamo dato corso, come promesso, alla ricerca di chi fosse il compositore. A quel momento fantasticavamo che la cosa avesse avuto inizio con il rapporto che legava Andrea Bernardini con Rossini e che autore potesse essere il nostro paesano. Dopo aver cercato senza successo un indirizzo del regista Bertolucci, abbiamo scritto la seguente nota al maestro Ennio Morricone, autore delle musiche del film:

“Caro maestro,

siamo abitanti del comune di Buti in provincia di Pisa. Rivedendo il film “Novecento” di Bernardo Bertolucci, le cui musiche sono state composte da Lei, alla fine della prima parte, nella scena del corteo che accompagna i morti nell’incendio della casa del popolo, la banda intona una marcia che in passato la locale Filarmonica ha sempre utilizzato per i trasporti dei paesani. Avevamo pensato che di tale composizione fosse autore Andrea Bernardini, un musicista del posto già presidente della Filarmonica, che è a tutt’oggi a lui intitolata. Avendo il Bernardini uno stretto rapporto di amicizia con Gioacchino Rossini, di cui fu allievo nel 1847 a Bologna, ora siamo incerti se l’aria è stata composta dal nostro o se è di qualche compositore emiliano. Una precisazione: abbiamo cercato alla Filarmonica gli spartiti, ma gli stessi sono andati perduti quando per alcuni anni la compagine venne sciolta e tutto il materiale fu disperso. Ci può aiutare ? Grazie comunque per la sua attenzione”.

Anche questo tentativo è stato infruttuoso e allora siamo ritornati a Buti, dove si era venuti a sapere che ciascun bandista aveva un proprio libretto con tutto il repertorio. Per primo abbiamo chiesto a Lori Pelosini che ha rovistato nelle proprie cose senza risultato. Quindi siamo passati a Mario Filippi e anch’egli si è molto adoperato. Infine siamo arrivati a Stefano Bernardini, già bandista e oggi insegnante di musica, che ha risolto l’arcano ricordando che la marcia prescelta da Bertolucci (e che evidentemente è od è stata molto popolare in Emilia Romagna) è “Mesto ricordo”. Stefano mi ha portato il suo vecchio libretto del repertorio integrato da molte partiture, scritte a mano, tra cui appunto “Mesto ricordo”. Poi è stato semplice ascoltare,  su You Tube, più pezzi titolati nello stesso modo e trovare quello giusto del maestro P. Giannini magistralmente suonato, nel 2014, da una banda dell’isola di Malta, dove venne organizzato un raduno di bande con tema le marce funebri.

E’ troppo chiedere che una marcia tanto amata in paese e fuori (lo dimostra “Novecento”) torni ad essere compresa nel repertorio dei nuovi bandisti ?

mesto ricordo

Pagina del repertorio di Stefano relativa allo spartito per flicorno contralto di “Mesto ricordo”.


Ma che sei gronchio ?

le raccoglitrici

“Le raccoglitrici” di Mauro Monni (anno 1972)

Espressione molto usata da noi nel tempo della raccolta delle olive. Tanti e tante butesi partivano la mattina nei mesi più freddi dell’anno (dicembre, gennaio, febbraio) per compiere l’operazione conclusiva della coltivazione tipica nostra. Però le mani si intirizzivano, in modo particolare la parte terminale delle dita, ad un punto tale che non si riusciva a stringere, a raccattare i frutti.

Questo non accade più per due ragioni: si è affermata l’abitudine, per ottenere un olio di qualità, di anticipare molto la raccolta (viene iniziata già alla fine di settembre) e perché vengono impiegate le reti di plastica per cui l’oliva non è a contatto con il suolo.

Per traslato, ironicamente viene anche detto: “Ma che sei gronchio ?” quando mancando la presa si lascia cadere un oggetto qualsiasi.


Butesi, ‘ndate via dar sole!

A proposito del Garibaldi e di Garibaldi che vi fu ospitato nel luglio del 1867, abbiamo trovato un articolo apparso sul numero 3 anno 2010 de “Il Paese”. La ricostruzione dell’evento,  gustosa, ve la proponiamo di seguito tal quale: 

Il 12 luglio del 1867 Giuseppe Garibaldi venne a Buti a raccogliere fondi per la campagna contro lo Stato Pontificio. Da due decenni Garibaldi andava dichiarando come fosse venuto il tempo di “far crollare la baracca pontificia” e, il 9 settembre 1867 ad un Congresso della Pace ospitato dalla protestantissima città di Ginevra, definiva il Papato “negazione di Dio … vergogna e piaga d’Italia”. Sembra che in paese “ruscolò” poco e piuttosto contrariato si rivolse alla folla che si accalcava in Piazza in modo brusco. La scena viene raccontata da Enzo Pardini con alcuni simpatici versi:

Camice rosse giovannotti fieri
dar passo bardansoso e nervi sardi
segueno ‘r Generale Galibardi
oggi colla passion ch’aveano ieri.

‘N piassa a Buti arrivano spavardi
e una sosta e fano volenchièri
beata gioventù sènsa pensieri
quanto camina’ ‘n questi giorni cardi.

E’ messogiorno e ‘r popolo accarcato
accrama ‘r Generale con fervore
a cui un rinfresco è stato preparato.

Egli a veder la gente che llo vòle
sènsa tené’ ‘n conto ‘r gran calore
dice Butesi ‘ndate via dar sole.

Un’ulteriore testimonianza si può leggere su “Nella comunità di Buti”, la pregevole raccolta di cronache, personaggi e curiosità di Francesco Danielli:

“Giuseppe Garibaldi viene a Buti con una parte della sua truppa; Michele Giusti, detto Ghelle, attendente del Generale nel 1866, gli va incontro al Bastimento e lo fa salire sulla sua carrozza per portarlo fino in Piazza, dove viene accolto da una folla strepitosa. Viene fatto salire nel Palazzo della Casa del Popolo (già allora si chiamava così. Oggi, per come è combinato, è disdoro per la Piazza e offesa al suo passato – fatta eccezione per la parentesi del fascismo – compreso le lapidi dedicate a Garibaldi), dove poi gli verrà offerto un rinfresco. Molti si susseguono a parlare per porgergli il benvenuto, e ben presto si arriva verso il tocco quando viene data la parola a Garibaldi, che si affaccia al balcone. Tutta la popolazione, che ha atteso sotto il solleone per sentirlo parlare, lo acclama ed attende un suo discorso. “Andate via dal sole Butesi, che è l’ora di mangiare!”. Queste le sue uniche parole pubbliche. Era venuto a Buti per prendere i soldi in prestito (glieli dette anche il sindaco Danielli) per le sue campagne militari”.

Il ritratto che è appeso nella parete interna del Circolo Arci "Ai fichi" in Castel di Nocco. Lo stesso Garibaldi lo donò ai Coscera per riconoscenza dell'ospitalità ricevuta in occasione del suo passaggio a Buti il 12 luglio 1867

Il ritratto che è appeso nella parete interna del Circolo Arci “Ai fichi” in Castel di Nocco. Lo stesso Garibaldi lo donò ai Coscera per riconoscenza dell’ospitalità ricevuta in occasione del suo passaggio a Buti il 12 luglio 1867

Massimo Pratali, che nel 1999 raccolse “storie, fatti e leggende di un paese toscano scritte in vernacolo butese” nel volume “N quer di Buti”, ci ha invitato a riprodurre un verbale della Società Operaia (le S.O. videro la luce intorno alla seconda metà dell’800; nascono per sopperire alle carenze dello stato sociale ed aiutare così i lavoratori a darsi un primo apparato di difesa, trasferendo il rischio di eventi dannosi), che in quel periodo era attiva in paese, dove viene chiarito l’antefatto delle due lapidi sopra ricordate. Eccone alcuni brani:

“Alla morte di Garibaldi, il 2 giugno 1882, “ il sindaco di Buti, dott. Domenico Danielli e la Giunta, scrissero un telegramma alla famiglia dell’Estinto:

“Famiglia Garibaldi – Caprera.

Giunta Municipale di Buti, vivamente commossa inaspettata perdita Genio di questo secolo, associa suo-vostro dolore”

Nel paese di Buti fu costituito un Comitato per le onoranze funebri in onore dell’Eroe….

Il Comitato fissò il giorno per rendere omaggio all’illustre Estinto, fu stabilito il 16 luglio 1882, ore 16. Quel giorno, il Consiglio approvò di ribattezzare la Piazza Nuova, dove sorgeva la casa che ospitò il Generale, in Piazza Giuseppe Garibaldi; di porre su quell’edificio una lapide che ricordasse ai posteri l’onore avuto da Buti e di celebrare solenni funerali civili in memoria del Grande Estinto….

I1 16 luglio, con un imponente trasporto civile, venne reso omaggio a Giuseppe Garibaldi, l’Eroe dei Due Mondi. Fin dalle prime ore del mattino, il paese presentava un’insolita animazione: passavano uomini, ragazzi e bambini con bandiere e festoni per ornare le case; i muri delle strade, da dove sarebbe passato il corteo, vennero ricoperti con cartelli recanti scritte le gesta immortali dell’Eroe. Le finestre furono parate a lutto, ovunque vennero messe splendide corone e tutte le strade vennero ricoperte con rose e mirto.

La piazza, dove veniva fatta la commemorazione, da quel giorno Piazza Garibaldi, era addobbata e al centro vi sorgeva, in mezzo a quattro giganteschi pennoni, una colonna mozza con sopra l’effigie del Generale. Intorno alla piazza, erano appoggiate ai muri, delle aste con alla sommità delle piccole bandiere incrociate e degli scudi con scritti i principali Patti d’arme della leggendaria Camicia Rossa. Splendido e pittoresco era l’aspetto che il paese di Buti presentava.

Erano circa le sei quando i1 corteo si mosse da Piazza del Municipio e passando per Via della Rosa, del Teatro, Via Vittorio Emanuele, arrivò a Piazza Garibaldi nel seguente ordine: Fanfara, Società Guido Monaco, Circolo Democratico, Biblioteca Circolante, Società Operaia, Scuola privata maschile Cosci, Scuola maschile comunale delle Cascine, Scuola maschile comunale di Buti, Reduci Patrie Battaglie, inviati e impiegati governativi e comunali, Municipio, Giudice Conciliatore, Consiglio della Società Filarmonica, Banda musicale comunale e guardie comunali….

11 30 Settembre 1883 fu organizzata una grande festa il cui ricavato servì per la realizzazione del monumento a Garibaldi. Quel giorno, in paese ci fu una splendida illuminazione che a Buti non s’era mai vista prima, tutta la piazza era illuminata a giorno, fu fatta la tombola che fu vinta dal sig. Deleny Giovanni di San Remo, quel giorno ospite del Sindaco. Il   sig. Giovanni donò la vincita al Comitato per la realizzazione del monumento….

I1 13 Novembre dell’anno 1883, vi fu un’altra festa indimenticabile in onore alla commemorazione del busto del Generale Garibaldi. In quel giorno, i dilettanti della Compagnia Panelli e la Società Filarmonica ebbero il gentil pensiero di organizzare una serata di gala a totale beneficio della cassa per il monumento a Garibaldi. La serata riuscì come non si poteva meglio sperare. Il Teatro era sfarzosamente illuminato e addobbato. I1 pubblico era numerosissimo, tant’è vero che tutti non riuscirono ad assistere alle spettacolo. All’entrata c’era il sig. Palmazio Dini sul cui petto brillavano le decorazioni guadagnate sui campi di battaglia, che non sopperiva quella sera a ricevere i biglietti d’ingresso….

Tuttavia, malgrado gli sforzi fatti dal Comitato, il monumento a Garibaldi non fu fatto.

Passarono alcuni anni e fu ricostituito un Comitato…

Era il 4 luglio 1907 quando fu inaugurato, in forma solenne, un “Medaglione” a Garibaldi opera dell’insigne scultore prof. Ettore Ferrari con un’epigrafe del poeta siciliano Mario Rapisardi:

“A Garibaldi liberatore – che intento a Roma fatale – Qui sostò qualche ora – I1 12 Luglio 1867 – Consacrano questo ricordo i butesi – nel centenario della sua nascita – Conoscenti all’Eroe – che insegnò più volte col sacrificio – Come le idee redentrici della nazione – Sopravvivendo alle sanguinose sconfitte – Vincono finalmente – Per virtu di popolo – La congiurata violenza degli oppressori – E le ambagi insidiose dei politicanti”.

Il medaglione venne posto nella casa dove abitò il Grande Estinto…. Il segretario del Comitato, salito sul palco insieme agli oratori, lesse la nota delle Associazioni intervenute, da Pisa: Circolo  “E. Socci”; da Pontedera: Libero Pensiero, Reduci Fratellanza Militare, Circolo “G. Bruno”; da S. Giovanni alla Vena: Circolo “G. Mazzini”, Circolo Giovanile Repubblicano, Fratellanza Artigiana, Club “L’Armonia”; da Vicopisano: Circolo Socialista, Circolo Socialista Giovanile, Circolo Repubblicano “A. Saffi”, Cooperativa “Terrazzieri”, Società Operaia; da Bientina: Cooperativa “Terrazzieri”, Società Operaia; da Buti: Municipio, Circolo “L’Armonia”, Cooperativa Corbellai e Cestai, Circolo Socialista “Jacopo Danielli”, Lega di Miglioramento tra Vetturali, Società Operaia e Reduci Patrie Battaglie….

Il segretario, infine, presentò l’illustre concittadino Pio Pardini che parlò a nome del Comitato, poiché il Presidente, sig. Fortunato Cioni, non aveva potuto presenziare per gravi motivi di salute.

Il Pardini fece la storia di come nacque in Buti l’idea di onorare il grande Eroe, mandò un caldo saluto alla memoria del prof. Jacopo Danielli, primo presidente del Comitato, salutò le Associazioni intervenute, i Reduci, le rappresentanze e il popolo tutto. Rievocò, con calde parole, i fatti più salienti della vita di Garibaldi e spesso fu interrotto dal pubblico con scroscianti applausi.

Dopo il sig. Pio Pardini, parlò l’avv. Francesco Bianchi di Lucca e con lui si chiuse la manifestazione mentre la Banda intonava l’inno di Garibaldi”.

Una cronaca intrisa di retorica che a leggerla oggi fa tenerezza, ma da cui si intuisce quanta e sincera adesione popolare ci fosse al ricordo di Giuseppe Garibaldi.

 

La posizione delle due lapidi. Quella posta sul lato del circolo Garibaldi in Via di mezzo riporta la seguente scritta: AD ONORANZA PERPETUA DI GIUSEPPE GARIBALDI OSPITE IN QUESTE MURA IL XII LUGLIO MDCCCLXVII IL MUNICIPIO DI BUTI PONEVA IL XVI LUGLIO MDCCCLXXXII, mentre l’altra, il “medaglione”, guarda la piazza.

La posizione delle due lapidi. Quella posta sul lato del circolo Garibaldi in Via di mezzo riporta la seguente scritta: AD ONORANZA PERPETUA DI GIUSEPPE GARIBALDI OSPITE IN QUESTE MURA IL XII LUGLIO MDCCCLXVII IL MUNICIPIO DI BUTI PONEVA IL XVI LUGLIO MDCCCLXXXII, mentre l’altra, il “medaglione”, guarda la piazza.

(le foto sono di Maurizio Pieroni).


L’uomo è una bestia

guerra 1915 - 18

guerra 1915 – 18

nominativi_2

guerra 1939 – 45

Visitando la chiesa di San Francesco, si notano due lapidi che ricordano i numerosi caduti butesi per causa di guerra, sia per quella del 1915 – 18 che per quella del 1939 – 45.

Però se andiamo a vedere cosa sta succedendo oggi nel mondo, il panorama è terribile. Non c’è solo la Siria, l’Irak e la Libia ad essere coinvolti in scenari di morte e distruzione, ma addirittura la maggioranza dei paesi. Precisamente i conflitti sono in:

AFRICA:

(29 Stati e 209 tra milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti coinvolti)

Punti Caldi: Egitto (guerra contro militanti islamici ramo Stato Islamico), Libia (guerra civile in corso), Mali (scontri tra esercito e gruppi ribelli), Mozambico (scontri con ribelli RENAMO), Nigeria (guerra contro i militanti islamici), Repubblica Centrafricana (spesso avvengono scontri armati tra musulmani e cristiani), Repubblica Democratica del Congo (guerra contro i gruppi ribelli), Somalia (guerra contro i militanti islamici di al-Shabaab), Sudan (guerra contro i gruppi ribelli nel Darfur), Sud Sudan (scontri con gruppi ribelli)

ASIA:

(16 Stati e 167 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti coinvolti)

Punti Caldi: Afghanistan (guerra contro i militanti islamici), Birmania-Myanmar (guerra contro i gruppi ribelli), Filippine (guerra contro i militanti islamici), Pakistan (guerra contro i militanti islamici), Thailandia (colpo di Stato dell’esercito Maggio 2014)

EUROPA:

(9 Stati e 80 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti coinvolti)

Punti Caldi: Cecenia (guerra contro i militanti islamici), Daghestan (guerra contro i militanti islamici), Ucraina (Secessione dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk e dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Lugansk), Nagorno-Karabakh (scontri tra esercito Azerbaijan contro esercito Armenia e esercito del Nagorno-Karabakh)

MEDIO ORIENTE:

(7 Stati e 236 tra milizie-guerriglieri, gruppi terroristi-separatisti coinvolti)

Punti Caldi: Iraq (guerra contro i militanti islamici dello Stato Islamico), Israele (guerra contro i militanti islamici nella Striscia di Gaza), Siria (guerra civile), Yemen (guerra contro e tra i militanti islamici)

AMERICHE:

(6 Stati e 26 tra cartelli della droga, milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti coinvolti)

Punti Caldi: Colombia (guerra contro i gruppi ribelli), Messico (guerra contro i gruppi del narcotraffico)

Per un totale:

Stati coinvolti nelle guerre

67

Numero di milizie-guerriglieri e gruppi terroristi-separatisti coinvolti

719


Una nuova pagina

Martedì 23 Agosto alle 18 vengono inaugurati i rinnovati locali del Circolo ARCI Garibaldi. I butesi sanno bene in quali condizioni era il fabbricato, fatiscente ad un punto tale da essere il disdoro del paese.  Oggi, rifatto il tetto crollato e le facciate scrostate in collaborazione con la proprietà del primo e secondo piano, e sistemati gli ambienti interni, il Consiglio Direttivo  presenta i risultati. E’ ovvio che ancora molto rimane da sistemare in termini di risanamento finanziario perché quanto realizzato non è stato regalato da nessuno. Comunque si tratta di un passo nel solco delle pagine belle scritte da tanti compagni, cestai contadini e altri lavoratori, scritte nella “Sezione” dal dopoguerra in poi. Coerente a quest’ispirazione il Garibaldi vuole riaffermare i valori della solidarietà e dell’amore per la pace.

ieri

ieri

oggi

oggi


L’asilo

bambini asilo banchi

Ritorno a quel tempo ormai così lontano, e i ricordi sono tanti. Avevo appena due anni e per undici ore al giorno, dalle otto della mattina alle sette della sera stavo lì. Alle sette quando chiudevano le segherie e veniva a prendermi “la mi’ mamma”.

All’asilo si stava insieme in una stanza e ci guardava solo Suor Maria Nazarena.

L’ambiente era tutto colorato di celeste-cielo. E laccati di questo colore, erano i banchini, le seggioline, l’attaccapanni, la cattedra, la vetrina. La vetrina che era lì di fianco, appena si entrava: alta, stretta stretta, con tantissimi ripiani per mostrare i nostri semplicissimi lavori. Due-tre volte la settimana si usciva nell’orto, dove il divertimento era di rincorrerci e di dondolarci su di una grande altalena. In più a questo, per noi bimbe, c’erano i girotondi della “Madama Pollaiola” e della “Madama Dorè”, o i “battimani” che si facevano a coppie e “si scambiavano” seduti sui muretti. Quelli che dicevano:

” Allo scambio del gio’

giocheremo a sassi ‘n dò … “

Eppoi c’era la “stanga bilanga”: di quando in quando la suora prendeva una bacchettina e ci faceva sulle gambe il gioco per trattenerci un po’ di più seduti. Cosa non mancava mai erano i dispettini e con i dispettini “gli spioncini”. Il momento della spiata garbava di più:

” Spio spione portabandiera

tutte le spie vanno in galera! “

L’ultimo anno si entrava, da “grandi”, nel piazzale delle scuole per imparare il gioco delle “quattro cantonate”. Era tutto un “corri-corri”; per fortuna dava una mano alla suora anche la Prova, la bidella tuttofare che sgambettava per giornate intere tra asilo e scuola elementare.

Un altro paio di uscite si ripetevano nel corso dell’anno: a Natale, in chiesa, per vedere il presepe con i bellissimi e grandissimi personaggi, e per carnevale fino in piazza, dalla Rosa, per i coriandoli. La suora ne comprava un solo sacchettino e poi ce ne dava “una menatina” per uno. Infine un ricordo vivo è quello del 19 Marzo, il giorno di San Giuseppe, quando, nel pomeriggio, si aspettava in gloria che arrivassero le quattro e “San Giuseppe frittellaio” ci portasse le frittelle. E le frittelle arrivavano puntualmente quando appariva la Prova con due piatti ricolmi. Subito noi si partiva all’assalto, ma lei, “schiantando da ride’”, le portava di corsa alla cattedra. La suora era lì pronta a richiamarci all’ordine battendo la bacchetta e facendoci mettere in fila e poi ne dava una ciascuno. Le frittelle erano, o ci sembravano, squisite.

F.M.V.


Usanze domestiche 2

Abbiamo già detto di alcune usanze, ma ne ricordo altre. Per esempio gli usi della “cendere”; primo tra tutti il cosiddetto “cenderone” per il bucato. La cenere, è risaputo, è un ottimo detergente e sbiancante, e per il “cenderone” veniva messa in una balla aperta e  adagiata sui panni preparati nelle conche, che poi bisognava riempire con acqua bollente per l’ammollo di almeno un giorno. Ma la cenere serviva anche in cucina, e proprio in cucina, fino ai primi anni cinquanta, ha durato l’usanza antica dell’utilizzo della “cendere per rigovernà’”. E precisamente fino a quando nelle cucine non venne introdotto l’acquaio. Le posate, specialmente quelle pesanti di ottone, si strusciavano con la cenere in un “truciolo” d’acqua in catini di coccio. Altro impiego della cenere era quello per i ceci. Il “cenderone” per il bucato e la “cenderata” sui ceci erano un po’ la stessa faccenda: si metteva la cenere in un asciughino, si stendeva sopra ai ceci e poi si versava l’acqua nel recipiente per l’ammollo. Al momento del risciacquo tutte “le gusce” venivano via più facilmente e i ceci cuocevano meglio. Ulteriore usanza è stata quella di sciacquare le bottiglie unte o quelle particolarmente macchiate con l’ erba “cimiciaia”, questa più era “fogliosa” più funzionava bene. Tutte pratiche assai preziose perché non costavano nulla.

F. M.V.


L’altro ieri

Allievi cascine vecchi

Primi anni 70: una più che onesta formazione di allievi dell’A.C. Cascine. Da sinistra, in piedi: la Ditta (Balducci Paolo), Camusso (Orlandi Moreno), il Montone (Monti Riccardo), il Giolli (Giolli Stefano), Mazzino (Bertelli Fabrizio), Cilì (Dal Canto Claudio), Natale Niccolai, Carlotti Giorgio, Luperini Sigismondo, il Biondo (Benvenuti Fabrizio), Pippo (Pioli Massimo), Tofano (Stefani Enzo), il Paesano (Ferrucci Enzo), il Gobbo (Guidi Giuseppe); accosciati Favina (Nardi Marco), Tocchino (Balducci Alberto), poi il capitano Salvadori Piero,il mitico Tonnetto (Giusti Fabio), Gallaccio (Pacini Alessandro), e per finire una nota di internazionalità con il Cinese, al secolo Pratali Marco. Da notare che le maglie indossate erano quelle storiche della “Rondinella”, una squadra della Pescaia che, prima che ricostruissero il campo sportivo, battagliava con il Ponte e con i  Becucci e questo aveva luogo in varie aree del paese tipo la Stazione (campo in ghiaino), la Chiesa (terra battuta), il Campino e il Pianale (con un po’ di erba). Ricordo che le maglie erano state pagate grazie ad un mezzo binario divelto e ceduto a ”Ranchino”. Ma questa è un’altra storia.

Claudio Parducci


La nostra marcia funebre

nove346C’è una scena famosa nel film “Novecento” di Bernardo Bertolucci a commento del corteo dopo il rogo appiccato dai fascisti alla casa del popolo. La banda suona l’Internazionale, poi viene intonata una marcia funebre che è la marcia che noi anziani abbiamo ascoltato tante volte in paese. Un’aria che associata alla dipartita di coloro che ci hanno accompagnato, formano un ricordo indelebile e struggente del nostro essere butesi.

Avevamo creduto da sempre che la composizione fosse di Andrea Bernardini, ma dal momento che la stessa è stata utilizzata da Bertolucci è probabile che l’autore sia un altro. L’Anna Baroni, presidente della Filarmonica, ci ha detto che gli spartiti in questione sono andati tutti perduti. A questo punto il miglior modo per verificare la cosa è scrivere al regista e lo faremo il più presto possibile.

Di seguito riproduciamo la marcia nella versione inserita nel film “Novecento”.

 


Giochi antichi

Cerchietti

cerchiettiNel cinquantasette, per noi bimbette già grandi (sui dodici anni), arrivarono i cerchietti. La novità ci si presentò alla colonia (gestita dal CIF, Centro Italiano Femminile: associazione delle donne cattoliche che si sviluppa nel dopoguerra sotto la spinta di Papa Pio XII dedicandosi alla gestione delle mense per i poveri, colonie marine e montane, ecc. N.d.R.) al Calambrone, che per noi rappresentava non solo un mese di mare, ma il simbolo assoluto dell’estate e delle vacanze.

Già da un paio d’anni i giochini sciapiti sulla sabbia non si facevano più; ora si passava il tempo con le parole crociate, a scambiare i giornalini, le corse con la palla e le chiacchiere fresche. Per fortuna, quell’anno, ci regalò il gioco dei cerchietti. Giocare “a cerchietti” non era un granché: consisteva soltanto nel tirare e riprendere al volo un piccolo cerchio di legno con due bacchette. Si giocava in due, ma anche in quattro con i tiri incrociati. Vinceva chi riusciva a farlo “cascà” meno volte. Non era un grande gioco, ma “garbò” a tutti compreso i bimbetti. Si giocava da tutte le parti, negli spiazzi in pineta e ovviamente sulla spiaggia e perfino in acqua, e anche in quel piazzale immenso della colonia “Vittorio Emanuele”. Un piazzale davvero enorme dove si svolgeva il corri-corri. Se il tempo era brutto, si tiravano pure in camerata (uno stanzone grandissimo con quarantotto letti).

L’ Hula-Hoop

hula-hoopNell’estate del cinquantotto esplose una novità assoluta, l’Hula-Hoop. E fu così entusiasmante che noi ragazzine si fece solo quello. Come tutti sanno si tratta di un grande cerchio di plastica colorato che va fatto roteare intorno alla vita e ai fianchi senza farlo cadere. Che faticaccia imparare! Però fummo ricompensate alla grande con la soddisfazione di una conquista grandissima. Però durò poco e malgrado il furore sollevato il gioco si spense in quella sola estate. E’ il destino delle mode.

F.M.V.


Quei materassi!

Giannina Ciampi: maestra di alta cucina e materassaia.

Giannina Ciampi: maestra di alta cucina e materassaia.

Mi riferisco ai vecchi materassi di lana o di vegetale che una volta l’anno andavano sfatti, lavati e rifatti. Era un ammattimento grosso! La testimonianza è diretta: più di una volta cuciti e fatti dalla sottoscritta.
Per primissima cosa andavano sfatti, che vuol dire scuciti, anzi “spuntiti”. Sia la lana che il vegetale, perché non si “ammassassero”, erano ben fermati con “passaggi” forti e ben annodati. La cucitura di questi gusci era noiosa e complicata, e non tutte le sarte la facevano. Non è facilissimo nemmeno descrivere simile faccenda, ma visto che l’ho sperimentata direttamente, mi ci provo.
Per i “passaggi”, da parte a parte, occorrevano due tasselli di rinforzo per ognuno con due buchi per far passare e, di seguito, annodare il grosso filo. Per ogni materasso matrimoniale occorrevano ben trenta “passaggi” con sessanta “toppini di rinforzo” e centoventi buchetti da fare col “puntarolo”.  Non mettiamo nel conto l’apertura nel mezzo, quella utilizzata per mettere dentro il materiale; anch’essa con i lati rinforzati e i buchetti ben cuciti e rifiniti. Poi, si consideri che i materassi erano due.
Inoltre, fino agli anni sessanta, nei letti matrimoniali al posto dei due guanciali c’era il “guanciallungo”, un lungo guanciale di lana largo quanto il letto. Un oggetto che andava scucito, vuotato, lavato, sistemata la lana e rifatto. Ma la “faccenda guanciallungo” le donne la facevano da sé, non gli occorreva la materassaia. Come si è potuto intendere dalla descrizione di cui sopra, rifare i materassi era operazione di ben altro impegno. Ma raccontiamola tutta.
Una volta tolti dai gusci lana e vegetale questi andavano “allargati” perché ritornassero soffici e morbidi. Le materassaie, chiamate nelle case per la faccenda, si aiutavano con “canniccio e bastoni”, attrezzi che portavano con sé insieme ad un grosso ago e… tanta pazienza.
Il lavoro completo non si faceva in quattro e quattr’otto, ci voleva qualche ora. “Allargati” lana e vegetale andavano rimessi dentro i gusci cercando di sterzarli più pari possibile. Quindi, con le apposite matassine, rifare i vari “passaggi” che riformavano i classici “sbuffi”; richiudere l’ apertura del mezzo e infine riformare la “cresta” su tutti gli otto lati per ogni materasso. Tutto questo un po’ in ginocchio e un po’ chine sul pavimento (quasi sempre quello di cucina).
Per i contadini le cose andavano meglio perché il lavoro veniva fatto nell’estate, fuori sull’aie.
Di materassaie di professione, se così si può dire perché non si riusciva a vivere solo di quello, ne ho conosciute tre soltanto: la Giannina del Campo, la Dina di Spalletta e la Consiglina del Galai. In casa mia è sempre venuta la Consiglina, che stava a San Nicolaio, dietro la chiesina, vicino a Coio. Non portava né il canniccio, né i bastoni, né il grosso ago, veniva senza nulla. Tanto in casa mia, tutto quello che occorreva c’è sempre stato. Lana e vegetale si allargavano a mano io e mia zia Giorgia in chissà quante sere, e quando tutto era pronto per rifarne una, si chiamava la Consiglina. Lei veniva sempre dopo “desinà”: montava su dal rio con “il grembiale e i carzerotti” puliti sotto il braccio e il fagotto di lavoretti (di cucito) da fa’ come cambio di lavoro.
Negli anni di bimbetta e ragazzetta il tempo dei materassi è sempre stato così. Mezze giornate che mi garbavano tanto. La Consiglina conosceva l’Apocalisse e io mi ci raccomandavo che raccontasse e lei lo faceva tutto il tempo, fino a sera. Anzi, soprattutto la sera, quando ormai il materasso era finito e lei per fare la cresta si poteva sedere in terra, di lato, un po’ più comoda che in ginocchione. E quando diventava proprio tardi, tornava il babbo e allora sì che raccontava, anzi raccontavano. Per il babbo trovare in casa la Consiglina e poter parlare dell’Apocalisse era una manna: dove trovarla una come lei, pronta a “ragionà” dell’Apocalisse? E per lei era lo stesso: dove lo trovava uno come il babbo pronto a “ragionà” dell’Apocalisse?
A me stavano bene tutti e due; erano discorsi che capivo poco, ma li stavo a sentire incantata come se raccontassero le novelle. Peccato che i materassi si facessero solo una volta l’anno!

F.M.V.

 


Soprannomi (da Sargente a Zuabo)

Con il numero 5 anno 2012, abbiamo iniziato la pubblicazione della ricerca sui soprannomi di Erico Enrico Bernardini (di Baggiolo), aggiornata al 1985. Con il cartaceo eravamo arrivati a “Sapina” e oggi la completiamo.

Sargente Del Ry Mentano
Sasso Parenti Parentino
Sassolino Tremolanti Cicalo
Saulle Bernardini Saulle
Sbadiglio Bernardini Sbadiglio
Scarbatrina Gozzoli Scarbatrino
Schiocca Filippi Schiocca
Sciampera Sciampero
Scuffia Bernardini Scuffia
Seggiolaia Seggiolaia
Seghetti Petrognani Seghetti
Sella Felici Dodo
Sette Andreotti Ferro
Sgrummi Sgrummi
Sili Pardini Ragnerino
Sindachino Scarpellini Sindachino
Sipolino Sipolo
Sirino Ciampi Bottaio
Siriotto Filippi Naccheri
Sissi Guerrucci Micio
Sissi Barzacchini Sissi
Sisto Bernardini Sisto
Sita Bonaccorsi Prete
Soffione Soffione
Sorba Vannucci Sorba
Sorda Sorda
Spadaccia Spadaccia
Spadino Leporini Spadino
Spalletta Ciampi Spalletta
Spazzino Valdiserra Spazzino
Spitigno Felici Spitigno
Spranghino Parducci Violina
Spuma Pardini Ragnerino
Squillo Pratali Campanaio
Stagnino Masoni Fifoia
Stagnino Bernardini Icchisi
Stampatore Cosci Stampatore
Stanga Filippi Pitia
Stecchiè Stecchiè
Steccolo Steccolo
Stefanino Cosci Rechie
Stelio Felici Stelio
Sticci Leporini Pepane
Stinchi Stinchi
Strego Baschieri Streghino
Stussi Bernardini Benzina
Succhio Del Ry Gaspera
Sussi Felici Cocchina
Tabarsi Baschieri Tabarsi
Tacca Tacca
Tacche Tacche
Tacco Baschieri Tacca
Taglierino Taglierino
Talino Petrognani Talino
Talloccio Talloccio
Tana Lari Larino
Tanfata Tanfata
Tapino Filippi Delo
Tappo Pioli Tappo
Tarzan Barzacchini Macelli
Tascone Pelosini Tascone
Tatino Tatino
Tattino Rossi Tattino
Telle Barzacchini Macelli
Tenace Branchini Tenace
Tenda Bernardini Tenda
Tenente Filippi Cingione
Teo Bernardini Feccio
Teo Cavallini Teo
Terso Filippi Schiocca
Testulina Guerrucci Testulina
Teto Felici Teto
Ticci Bernardini Ticci
Tilla Tilla
Tio Valdiserra Carretta
Tio Baroni Tio
Tipolò Tipolò
Tirulì Tirulì
Tito Moscardini Pacchiarino
Titta Petrognani Talino
Tizzoni Landi Lisca
Tobere Cavani Lombo
Tocche Valdiserra Spazzino
Tocci Parenti Pasquino
Tocci Schiavetti Pionso
Tocco Tognarini Tocco
Tola Andreini Tola
Tonso Matteucci Prottoli
Topaccia Serafini Macaio
Topano Palamidessi Bellaminena
Topino Baroni Topino
Topo Barzacchini Gonnella
Topo Pelosini Mondo
Topo Gozzoli Topo
Topo Scarpellini Topo
Topolino Parenti Topolò
Topolò Parenti Insaccatopi
Toppino Bernardini Baggiolo
Toppone Filippi Toppone
Tordina Tordo
Tordo Baschieri Piovano
Tormento Pratali Tormento
Toro Ciampi Spalletta
Torre Profeti Torre
Totolina Paoli Totolina
Traballone Felici Traballone
Tramme Martinelli Tramme
Tramontana Tramontana
Trapano Cingione
Treno Guelfi Treno
Treppani Priori Treppani
Treunce Scarpellini Treunce
Tricco Petrognani Talino
Tripoli Filippi Domenichetto
Tripolina Bacci Bresza
Trivellino Ciampi Trivellino
Tullora Tullora
Turo Serafini Turo
Tutolo Tognetti Tutolo
Tutù Tutù
Uccellina Stefani Uccello
Uccello Pini Calistro
Ugnino Bernardini Schiocca
Valpreda Pelosini Valpreda
Vedovallegra Vedovallegra
Veloce Veloce
Venino Landi Venino
Venuto Venuto
Verchione Verchione
Verderame Filippi Verderame
Vergi Vergi
Villano Tognetti Villano
Vinello Filippi Vinello
Violina Parducci Violina
Vocina Caturegli Vocina
Vovve Pardini Vovve
Zai Gozzoli Billalla
Zazzerina Serafini Macaio
Zerba Pratali Brigido
Zio Rossi Botte
Zizzolino Ciampi Trivellino
Baricolo
Zozzi Bernardini Gobbo
Zuabo Zuabo

Io, Guido e la Tosca

uscita-anni-50Era l’inizio del decennio e il tempo quello della scuola elementare; precisamente l’anno scolastico cinquantatre-cinquantaquattro.
Si stava tutti e due a Puntaccolle, io nel Poggetto e Guido nel Rietto.
Lui ci veniva spesso là dove stavo io, “mi veniva a chiamà’ e mi ‘spettava” in fondo di scala. E anch’io facevo uguale: lo chiamavo e lo aspettavo in fondo di scala. Non si stava a “perde’ tempo a entrà’ nelle case e fà’ tanti discorsi”, si partiva subito verso la scuola, il Catechismo, la Messa (Guido la serviva), dal mentaio, al dopo-scuola. Ecco, proprio il dopo-scuola; fu con quello che la Tosca (la mamma di Guido) scoprì l’altarini. Andò così.
Erano gli anni che nelle stanze sopra il Comune, la Madre teneva il dopo-scuola; per cinquecento lire al mese, vi si poteva andare per un paio d’ore, dalle due alle quattro. Chi aveva bisogno di un po’ di ripetizione, la Madre lo seguiva in modo particolare e tutti comunque venivano aiutati per i compiti di casa, specialmente nelle letture.
Anch’io ci andavo, ma soltanto quando pioveva. Mentre per quanto riguarda la scuola, quella della mattina, la prendevo sul serio e ci stavo attentissima, il pomeriggio era intoccabile per “andà’ aggiro”. A quel tempo garbava a tutti ritornare nel piazzale delle scuole, ma solo per “passà’ il tempo e per giocà’”, soprattutto un gioco che si faceva solo lì: le quattro cantonate.
A questo punto, devo spiegare un certo “contratto” che il mi’ babbo, costretto dalla mi’ mamma, aveva fatto con le suore. Lui ci si recava spesso da loro perché lo mandavano a chiamare per qualsiasi lavoretto. Lavoretti minimi ma necessari, e che lui faceva sempre in via di favore. Allora la mi’ mamma gli fece chiedere (sottinteso come pagamento) il permesso di farmi andare qualche volta al dopo-scuola, senza impegno, di quando in quando. E le suore dissero subito di sì.
Tutti i giorni alle due, sia io che Guido, si usciva di casa. Se non ci si trovava “a Puntaccolle”, chi prima usciva “‘ndava a chiamà'”. Lui il dopo-scuola lo doveva frequentare regolarmente, io invece regolarmente frequentavo solo il piazzale. Infatti, una volta lì, se c’ era qualcuno a giocare (e qualcuno ci trovavo quasi sempre) m’imbrancavo anch’io e trattenevo giù anche Guido, a cui la cosa stava benone. Poi, quando ci pareva, si ritornava in giù, ognuno a casa sua. Così andò avanti per quasi tutto l’anno scolastico. Poi, come fu come non fu, la Tosca lo venne a sapere. Per primissima cosa “andò a ‘spettà’” la mi’ mamma alla segheria e risentita “ni fece sapé’” tutto quanto. Ma la mi’ mamma lo sapeva benissimo che io “‘r doppo-dessinà’ ‘ndavo aggiro” e infatti glielo disse:
“E lo sò che lé’ ‘un ci và, ma tanto io ‘r mese ‘un lo pago”
“Eh, ma io sì!” – rispose la Tosca risentita.
A questo punto, l’unica che “né la doveva fà’ intende’ “ ero io. Mi trovò, per caso, alla fonte, mi “chiappo” per le code e mi urlò in un orecchio: “O’ stracicona! Te vai ‘n dù’ ti pare. Ma lù’ ‘asciacelo ‘ndà’!”
Non ci fu bisogno di aggiungere altro, avevo capito benissimo. Il “chiamo” reciproco continuò, però io facevo quel che mi pareva come prima, mentre Guido montava la scala delle suore e sbattendo la cartella da tutte le parti imprecava: – “Accidenti a chi né la ditto” – .
E io che “riscotevo” tutte le sere, quella volta lì la passai liscia: caso eccezionale ero in regola.

F.M.V.


PIAVOLA, UNA DISUMANA RAPPRESAGLIA

Piavola

Nel quadro della celebrazione del XXV Aprile, si è tenuta all’ex Frantoio Rossoni una lezione del Prof. Paolo Pezzino che ha presentato i materiali raccolti per l’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste, un progetto finanziato dalla Germania nel quadro del cosiddetto “Fondo italo-tedesco per il futuro”. L’Atlante, promosso in collaborazione tra Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (INSMLI) e Associazione nazionale partigiani d’Italia (ANPI), ha permesso di definire un quadro completo degli episodi di violenza contro i civili commessi dall’esercito tedesco e dai suoi alleati fascisti in Italia tra il 1943 e il 1945.

Della lezione del Prof. Pezzino pubblicheremo un estratto più avanti. Dal sito dell’Atlante (http://www.straginazifasciste.it/) si ricavano alcune, importanti notizie:

Nell’Elenco reparti responsabili viene individuato il reparto che ha eseguito la strage di Piavola, il 65. Infanterie-Division. Un tipo di reparto facente parte della Wehrmacht (forze armate tedesche comprendente l’Heer – esercito, la Kriegsmarine –  marina e la Luftwaffe – aeronautica). Il 65. Infanterie-Division è responsabile o corresponsabile di molteplici stragi:

 

  1. Rocca Corneta, Lizzano in Belvedere (mercoledì, 21 giugno 1944)
  2. Fanano (venerdì, 23 giugno 1944)
  3. Lizzano in Belvedere (martedì, 27 giugno 1944)
  4. VALPROMARO CAMAIORE (venerdì, 30 giugno 1944)
  5. MONTE A PESCIA (martedì, 18 luglio 1944)
  6. PIAVOLA BUTI (domenica, 23 luglio 1944)
  7. TERMINE VICOPISANO (martedì, 25 luglio 1944)
  8. STRIGLIANELLA MONTALE (venerdì, 4 agosto 1944)
  9. LA ROMAGNA SAN GIULIANO TERME (domenica, 6 agosto 1944 – lunedì, 7 agosto 1944)
  10. GERMINAIA DI PISTOIA (mercoledì, 9 agosto 1944)
  11. SAN PANTALEO PISTOIA (sabato, 12 agosto 1944)
  12. VELLANO PESCIA (giovedì, 17 agosto 1944)
  13. SAN QUIRICO IN VALLERIANA PESCIA (sabato, 19 agosto 1944)
  14. SAN PIERO IN CAMPO MONTECARLO (giovedì, 31 agosto 1944)
  15. PESCIA (mercoledì, 6 settembre 1944 – giovedì, 7 settembre 1944)
  16. CIMITERO VELLANO PESCIA (giovedì, 14 settembre 1944).

Inoltre, la ricerca mette in evidenza  che si è motivato il massacro come rappresaglia (azione punitiva caratterizzata da inumanità e da violenza indiscriminata posta in essere da una forza occupante ai danni della popolazione civile. La rappresaglia è vietata dal diritto internazionale).

L’Atlante indica, tra l’altro, la bibliografia essenziale da tenere come base per valutare quanto successo in Piavola:

AA.VV., La Resistenza nel comune di San Giuliano Terme: cinquantennale della Resistenza e della liberazione, Pacini, Pisa, 1994.

AA.VV., Testimonianze e documenti raccolti dagli studenti della Scuola Media, Amministrazione Provinciale di Buti, 1974.

AA.VV., Uomini in guerra, Scuola media F. Di Bartolo (a cura di), Buti, 1995.

Michele Battini, Paolo Pezzino, Guerra ai civili, Marsilio, Venezia, 1998, pp. 169-175.

Gianluca Fulvetti, Uccidere i civili. Le stragi naziste in Toscana (1943-1945), Carocci, Roma, 2009, pp. 167-168.

Così per quanto riguarda una nutrita serie di fonti archivistiche per la gran parte tratte dai verbali del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) sezione di Buti.

 


Modi di dire

Dopo aver iniziato il discorso nel numero 5 dell’anno 2008 (Arrosto che non tocca si lascia bruciare) e averlo continuato nei numeri successivi dello stesso anno e di tutto il 2009 con materiale raccolto da Villiam Landi, si riprende ora con alcune espressioni che sono comuni in Toscana:

   – ti cavo l’occhi e te li metto ‘n mano

   – come t’ho fatto ti risfaccio

proprio butese sembra essere:

   – ti sgroppono, diventi ‘n cane

Nostra, almeno per il significato offensivo che qui ha acquisito perché rivolta verso uno che non riesce ad avere figli, è la seguente invettiva:

   – quer  barlaccio del tu’ marito

e se trattasi di una donna:

   – o gallina senz’ova.

Espressioni che vengono vieppiù illuminate quando ci riferiscono che le stesse sono state usate in uno scontro verbale sanguinoso tra due reali condizioni di donne castellane.


Il Tribunale Speciale

Un amico di Pisa ci ha inviato un vecchio articolo di Aldo Natoli che illustra l’istituzione e il funzionamento del Tribunale Speciale durante il periodo fascista.

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ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE SPECIALE

Il Tribunale speciale fasci­sta fu istituito nel 1926, con la legge n.2008 [26 novem­bre], recante «Provvedimenti per la Difesa dello Sta­to». Esso reintroduceva la pena di morte per gli atten­tati contro la persona del Re e del capo del fascismo e puniva con sanzioni severissime ogni attività politica contraria al regime. Tutti i partiti politici erano già stati sciolti e messi fuori legge. Tale attività dunque, era bollata come «sovversiva». Altra specialità di quel tribunale consisteva nel fatto che il collegio giudican­te non era costituito da magistrati, ma da ufficiali della milizia fascista, i quali si esibivano in divisa e in camicia nera. Ciò non lasciava adito ad alcun dubbio sulla loro imparzialità. Per il modo stesso della sua origine e della sua costituzione, era un tribunale per il quale non valeva la norma generale che «la legge è uguale per tutti». Qui, all’origine, la legge doveva es­sere «disuguale». In sotanza, era una banda, più o meno gallonata, di ausiliari della polizia po­litica; fra di essi non mancarono gli squadri­sti e funzionò per quasi diciassette anni, dalla sua istituzione fino al 23 luglio 1943: l’ultima sentenza emanata por­ta questa data. Due giorni dopo, il 25 luglio, cadeva Mussolini. A que­sto punto «i giudici» si squagliarono, più tardi, dopo la liberazione, si mimetizzarono fra le pieghe della giovane e inesperta democrazia. Nessuno fu perseguito. Tutti poterono usufruire indisturbati di copiose pen­sioni. Infatti non poco avevano lavorato. Se si tiene conto che, già prima della istituzione del Tribunale speciale e fino al 25 luglio 1943, in ogni provincia funzionavano le Commissioni per l’invio al confino dei presunti «sovversivi», e che si è calcolato che coloro che furono deportati o nelle isole o in pic­coli comuni, soprattutto nel Mezzogiorno, dove erano sottoposti alla libertà vigilata, furono oltre 10.000, si può ritenere che le persone che la polizia politica con­siderò ostili al regime, pericolose per esso e, quindi, soggette a diverse misure di sicurezza e repressione, furono più di 16.000. Naturalmente, diversi erano anche i livelli di attività o di organiz­zazione di costoro. Fra essi la stragrande maggioranza era costituita do operaie contadini. Politicamente soverchiante [oltre 1’80 per cento] fu la partecipazione comunista.

LA FORMAZIONE DEI QUADRI ANTIFASCISTI IN CARCERE

Esiste ormai un’ampia documentazione, anche se non ancora sistematica ed esauriente, circa le condi­zioni del regime carcerario cui erano sottoposti i de­tenuti politici. Giova ricordare che il Regolamento degli istituti di prevenzione e di pena (1931) non fa parola dei «detenuti politici». Ufficialmente, per il regime fascista, questi «non esistevano». Nella realtà, in tutte le più importanti case penali vi erano «sezioni politiche». 1 detenuti politici erano ristretti in locali separati rispetto ai delinquenti comuni. Il trattamento cui i politici erano soggetti era mo­dellato su un regolamento cui ho già accennato e questo era francamente punitivo. Ma la situazione reale era diversa da carcere a carcere. Vi erano car­ceri notoriamente duri e carceri meno duri. Decisiva era la qualità del personale di custodia dal direttore all’ultimo secondino. Dove erano funzionarie graduati dichiaratamente fascisti, il regime diventava persecutorio. lo ho fatto l’esperienza del carcere di Civitavecchia, che era allora considerato il più duro, fra il 1940 e il 1943. Erano anni di guerra tristissimi , per paese e que­sta circostanza si ripercuoteva entro il carcere attraverso i funzionari e a­genti fascisti.- per costoro noi, con­dannati come antifascisti, special­mente se comunisti, eravamo il «ne­mico», contro il quale essi conduceva­no una loro guerra particolare. lo ho descritto, servendomi di un docu­mento indiscutibile, forse unico, del quale ero venuto in possesso molti anni fa in circostanze singolari, caratteristiche ed episodi di quella guerra. In carcere in quegli anni, la lotta antifascista continuava in forme assai aspre. Quella fu la scuola nella quale si formarono alcune migliaia di quadri che più tardi costituirono l’ossatura delle formazioni armate partigiane. Insieme a Vittorio Foa e Carlo Ginzburg, ho pubbli­cato il documento cui ho accennato qui sopra: è il Registro delle punizioni che venivano inflitte ai de­tenuti politici nella casa penale di Civitavecchia fra il 1941 e il 1943. Questo documento, se non ne esi­stessero altri, basterebbe a qualificare la sostanza repressiva e reazionaria del fascismo.

I NUMERI DEL TRIBUNALE SPECIALE

Dalla sua istituzione, primo febbraio 1927, al suo scioglimento, con la caduta del regime il 25 luglio 43, il tribunale speciale per la difesa dello stato processò 5.619 imputati condannandone 4.596. Gli anni totali di prigione inflitti furono 27.735 anni di carcere , 42 le condanne a morte, di cui 31 eseguite, 3 gli ergastoli, 4.497 processati erano uomini, 122 le donne, 697 i minorenni. Tra le categorie professionali, 3.898 imputati erano operai e artigiani, 546 i contadini, 221 liberi professionisti.

Aldo Natoli


Usanze Domestiche

idrolitinaErano tante quelle usanze e qui ne voglio raccontare qualcuna delle più comuni allora che i meno giovani ricorderanno di certo, come l’ insetticida, le borse della spesa, il turchinetto. L’insetticida per noi era il “fritte”. Più precisamente non il prodotto insetticida, il D.D.T., bensì la macchinetta che spruzzava. Una macchinetta di metallo con tanto di serbatoio e stantuffo che agendo con il cosiddetto “olio di gomito” si riusciva ad “appestare” dappertutto.

Anche le borse della spesa, che sono state in uso fino al sessanta, ora sembrerebbero oggetti del medioevo. Erano le borse che facevano i calzolai con i “triangolini” di cuoio cuciti insieme: infinibili! Duravano per decenni e si presentavano anche bene, specialmente quelle di lusso con i colori della pelle sfumati che formavano dei bei motivi centrali, quasi sempre dei rombi.

Un altro comportamento tipico di quegli anni (e che nei successivi anni sessanta  non esisteva già più) era l’uso del “turchinetto” per il bucato. Una sostanza in polvere di un bel colore azzurro intenso che in minima quantità si scioglieva nell’acqua dell’ ultimo risciacquo e donava alle lenzuola un bell’effetto color bianco-azzurrino.

la_vecchinaMa altre piccole consuetudini della vita di allora si riscontravano anche in tavola, come il caffè, l’acqua frizzante e il tè. Il caffè si comprava ancora in chicchi e si macinava con un simpatico macinino dotato di una cassettina. Il caffè in polvere era solo quello dei surrogati, come “La vecchina” e il “Caffè Frank”. Mentre l’acqua che “mussava” era il lusso della domenica. Al  centro della tavola da pranzo, infatti, stava la bottiglia di litro con la bustina dell’ “Idrolitina”. Infine il tè sfuso, ridotto in minuscoli pezzettini di foglie nelle scatoline. I filtri arrivarono dopo qualche anno. Per tutto il decennio il tè si fece ancora, come dicevano Urbino e l’Angèla: col “pizzicottino”.

F.M.V.


Il Piccino

Il Piccino era un pezzo da novanta  dei tempi che furono, quando la banda era formata da elementi autoctoni. Quegli elementi e quella banda che a noi appaiono eterni; non può essere che siano venuti meno e che la banda sia cambiata più volte fino ad essere oggi, con i suoi più giovani esponenti, di nuovo un’espressione della butesità. Il Piccino suonava il bombardino e l’impegno che metteva nel voler ricoprire degnamente il suo ruolo era segnato dalle prove che effettuava in modo instancabile. Erano sempre le stesse, poche note di accompagnamento: “Po’, po’, po’ “. Non le melodie che pure si possono trarre dal bombardino. Talvolta, però, quel “po’ po’ po’” regolare veniva storpiato. Allora, il Piccino, drammaticamente consapevole dell’errore commesso, esclamava sconsolato: “Ber mi morì”.

Scopro in ritardo che nel 2013 avevamo già dedicato un trafiletto al Piccino. Però quell’espressione, quel “Ber mi morì” vale certamente più di due trafiletti.

Vi consiglio l’ascolto di un virtuoso del bombardino che esegue un bel motivo di Astor Piazzolla.


Corrado Vichi

Le persone più attempate ricordano come Corrado Vichi si rivolgeva ai fascisti paesani: “Non mi toccate la bicicletta che poi sono costretto a disinfettarla”. Episodi come questi diventarono proverbiali attirando sul nostro nubi minacciose accompagnate da bastonature e olio di ricino. Per evitare conseguenze più gravi, Corrado fu costretto ad emigrare in Francia dove lavorò come cameriere per quindici anni.

Al rientro  a Buti fu il primo segretario della Sezione del Partito Comunista. Ad attestare l’autorevolezza conquistata per il suo passato di coerente antifascista, si ricorda un episodio in occasione del rapporto Kruscev al XX congresso del PCUS , che segna l’inizio di un processo comunemente definito “destalinizzazione”, in virtù del quale vi fu la definitiva caduta del regime totalitario e una parziale liberalizzazione della vita politica e culturale dell’URSS. Il PCI incontrò forti resistenze a far passare alla base le nuove posizioni. La Federazione di Pisa inviò a Buti un giovane funzionario, Anselmo Pucci (dirigente contadino molto stimato anche qui in paese), a dettare la linea. Sfortunatamente per lui dovette confrontarsi con Corrado Vichi che lo apostrofò così: “O bimbo, digli al Paolicchi (il segretario della Federazione di allora) che venga lui a spiegarmelo cosa è stato il compagno Stalin”. E al Pucci, che stimava incondizionatamente il Vichi per quel passato cui si faceva cenno sopra, toccò tornarsene a Pisa con la coda tra le gambe. Così il Pucci raccontò l’episodio  alla Patrizia Dini, che gli fu collaboratrice per tanti anni alla Regione.

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Il referendum del 17 Aprile

Inauguriamo il blog parlando del significato del voto di domenica 17 al referendum riduttivamente ribattezzato “trivelle si trivelle no”.
A quanto viene raccontato sembra il solito conflitto tra ingenui “ambientalisti” e brillanti “economisti” che conoscono come va il mondo e, oltre a promuovere l’ambiente, evitano che l’Italia si spenga per mancanza di energia.
E’ invece un’occasione significativa per affermare che è necessario un nuovo modello di sviluppo. Le energie rinnovabili (sole, vento, biomasse, ecc.) sono un’importante occasione di sviluppo e occupazione. Il prezzo del petrolio è in continuo calo, la produzione delle rinnovabili è in continuo aumento e l’industria e le tecnologie per il risparmio energetico sono ormai parti integranti dei sistemi produttivi dei paesi industrializzati.
Quindi votare SÌ il 17 Aprile significa dare un forte segnale al governo di spingere verso il futuro, di non rimanere succube di interessi particolari, così come sta venendo alla luce in questi giorni.
Abbiamo bisogno urgente di un nuovo modello di sviluppo e di crescita.

evoluzione