Personaggi


l’importante figura di Don Giancarlo Ruggini

Rovistando tra i tanti materiali ammucchiati, frutto delle iniziative intraprese in decine di anni, ho rintracciato la registrazione di un dibattito tenutosi in paese nel 1968 tra due sacerdoti, Don Ruggini e Don Borla con oggetto “Le dimensioni religiose dell’uomo moderno”. Il confronto fu organizzato nell’ambito del corso “Licenza Media per tutti” tenuto da giovani comunisti e giovani cattolici.

Allego il numero 6 anno 2008 de “Il Paese”, che ricordava l’evento e il file audio della conferenza in cui si possono apprezzare appieno la modernità delle affermazioni del prete di San Miniato.

                                                                                                         Graziano

Il Paese n. 6 anno 2008

Prima Parte

Seconda Parte

Terza Parte


Il Piccino

Il Piccino era un pezzo da novanta  dei tempi che furono, quando la banda era formata da elementi autoctoni. Quegli elementi e quella banda che a noi appaiono eterni; non può essere che siano venuti meno e che la banda sia cambiata più volte fino ad essere oggi, con i suoi più giovani esponenti, di nuovo un’espressione della butesità. Il Piccino suonava il bombardino e l’impegno che metteva nel voler ricoprire degnamente il suo ruolo era segnato dalle prove che effettuava in modo instancabile. Erano sempre le stesse, poche note di accompagnamento: “Po’, po’, po’ “. Non le melodie che pure si possono trarre dal bombardino. Talvolta, però, quel “po’ po’ po’” regolare veniva storpiato. Allora, il Piccino, drammaticamente consapevole dell’errore commesso, esclamava sconsolato: “Ber mi morì”.

Scopro in ritardo che nel 2013 avevamo già dedicato un trafiletto al Piccino. Però quell’espressione, quel “Ber mi morì” vale certamente più di due trafiletti.

Vi consiglio l’ascolto di un virtuoso del bombardino che esegue un bel motivo di Astor Piazzolla.


Corrado Vichi

Le persone più attempate ricordano come Corrado Vichi si rivolgeva ai fascisti paesani: “Non mi toccate la bicicletta che poi sono costretto a disinfettarla”. Episodi come questi diventarono proverbiali attirando sul nostro nubi minacciose accompagnate da bastonature e olio di ricino. Per evitare conseguenze più gravi, Corrado fu costretto ad emigrare in Francia dove lavorò come cameriere per quindici anni.

Al rientro  a Buti fu il primo segretario della Sezione del Partito Comunista. Ad attestare l’autorevolezza conquistata per il suo passato di coerente antifascista, si ricorda un episodio in occasione del rapporto Kruscev al XX congresso del PCUS , che segna l’inizio di un processo comunemente definito “destalinizzazione”, in virtù del quale vi fu la definitiva caduta del regime totalitario e una parziale liberalizzazione della vita politica e culturale dell’URSS. Il PCI incontrò forti resistenze a far passare alla base le nuove posizioni. La Federazione di Pisa inviò a Buti un giovane funzionario, Anselmo Pucci (dirigente contadino molto stimato anche qui in paese), a dettare la linea. Sfortunatamente per lui dovette confrontarsi con Corrado Vichi che lo apostrofò così: “O bimbo, digli al Paolicchi (il segretario della Federazione di allora) che venga lui a spiegarmelo cosa è stato il compagno Stalin”. E al Pucci, che stimava incondizionatamente il Vichi per quel passato cui si faceva cenno sopra, toccò tornarsene a Pisa con la coda tra le gambe. Così il Pucci raccontò l’episodio  alla Patrizia Dini, che gli fu collaboratrice per tanti anni alla Regione.

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