INTRODUZIONE ALLE VEGLIE


“Nella sera fredda e scura
presso il fuoco del camino
quante storie quante fiabe
raccontava il mio nonnino…”

Ai meno giovani gli basta un’occhiata sul primo verso per ricordare l’ “aria” di una popolarissima canzone di allora, ma per i giovanissimi va detto che si tratta di “Aveva un bavero”, presentata al Festival di Sanremo nel 1954.
E’ vero che nel decennio, a cui facciamo riferimento, i grandi baveri (a ciambella, sciallati, alla marinara), sono stati dei dominatori, ma intesi come colletti “’un c’entrano né pogo né punto“. Invece è acuto il tema introdotto dai versi iniziali. A noi, bimbi in quegli anni, infatti, quei pochi righi rievocano un tempo segnato da lunghi inverni e da tante sere passate a veglia, dove tutto incuriosiva ed era importante. Ci si riuniva davanti al fuoco e i nonni (per me i nonni erano il babbo e la tata Giorgia) raccontavano e commentavano. Ogni ricordo e ogni novità, nel clima delle veglie, erano così “sentiti“, che assumevano la dimensione di grandi fatti e grandi cose. Le veglie più attese erano quelle del periodo natalizio: le misere cose che si preparavano allora, i racconti e quel che si diceva d’altro divenivano il simbolo di quei momenti di festa.
Se riandiamo a quel tempo passato così, in seno alla famiglia, con i discorsi di casa e senza nessun’altra pretesa, oggi sembra un tempo fuori dalla realtà. Ma quegli anni ormai andati, rimasti là fermi, statici, secondo me dimostrano quanto sia sbagliato il classico “pensierino della sera”: “Come passa il tempo”: non è il tempo che passa, siamo noi che vi entriamo e lo attraversiamo.

F.M.V.