Archivi giornalieri: 23 Aprile 2016


Il Tribunale Speciale

Un amico di Pisa ci ha inviato un vecchio articolo di Aldo Natoli che illustra l’istituzione e il funzionamento del Tribunale Speciale durante il periodo fascista.

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ISTITUZIONE DEL TRIBUNALE SPECIALE

Il Tribunale speciale fasci­sta fu istituito nel 1926, con la legge n.2008 [26 novem­bre], recante «Provvedimenti per la Difesa dello Sta­to». Esso reintroduceva la pena di morte per gli atten­tati contro la persona del Re e del capo del fascismo e puniva con sanzioni severissime ogni attività politica contraria al regime. Tutti i partiti politici erano già stati sciolti e messi fuori legge. Tale attività dunque, era bollata come «sovversiva». Altra specialità di quel tribunale consisteva nel fatto che il collegio giudican­te non era costituito da magistrati, ma da ufficiali della milizia fascista, i quali si esibivano in divisa e in camicia nera. Ciò non lasciava adito ad alcun dubbio sulla loro imparzialità. Per il modo stesso della sua origine e della sua costituzione, era un tribunale per il quale non valeva la norma generale che «la legge è uguale per tutti». Qui, all’origine, la legge doveva es­sere «disuguale». In sotanza, era una banda, più o meno gallonata, di ausiliari della polizia po­litica; fra di essi non mancarono gli squadri­sti e funzionò per quasi diciassette anni, dalla sua istituzione fino al 23 luglio 1943: l’ultima sentenza emanata por­ta questa data. Due giorni dopo, il 25 luglio, cadeva Mussolini. A que­sto punto «i giudici» si squagliarono, più tardi, dopo la liberazione, si mimetizzarono fra le pieghe della giovane e inesperta democrazia. Nessuno fu perseguito. Tutti poterono usufruire indisturbati di copiose pen­sioni. Infatti non poco avevano lavorato. Se si tiene conto che, già prima della istituzione del Tribunale speciale e fino al 25 luglio 1943, in ogni provincia funzionavano le Commissioni per l’invio al confino dei presunti «sovversivi», e che si è calcolato che coloro che furono deportati o nelle isole o in pic­coli comuni, soprattutto nel Mezzogiorno, dove erano sottoposti alla libertà vigilata, furono oltre 10.000, si può ritenere che le persone che la polizia politica con­siderò ostili al regime, pericolose per esso e, quindi, soggette a diverse misure di sicurezza e repressione, furono più di 16.000. Naturalmente, diversi erano anche i livelli di attività o di organiz­zazione di costoro. Fra essi la stragrande maggioranza era costituita do operaie contadini. Politicamente soverchiante [oltre 1’80 per cento] fu la partecipazione comunista.

LA FORMAZIONE DEI QUADRI ANTIFASCISTI IN CARCERE

Esiste ormai un’ampia documentazione, anche se non ancora sistematica ed esauriente, circa le condi­zioni del regime carcerario cui erano sottoposti i de­tenuti politici. Giova ricordare che il Regolamento degli istituti di prevenzione e di pena (1931) non fa parola dei «detenuti politici». Ufficialmente, per il regime fascista, questi «non esistevano». Nella realtà, in tutte le più importanti case penali vi erano «sezioni politiche». 1 detenuti politici erano ristretti in locali separati rispetto ai delinquenti comuni. Il trattamento cui i politici erano soggetti era mo­dellato su un regolamento cui ho già accennato e questo era francamente punitivo. Ma la situazione reale era diversa da carcere a carcere. Vi erano car­ceri notoriamente duri e carceri meno duri. Decisiva era la qualità del personale di custodia dal direttore all’ultimo secondino. Dove erano funzionarie graduati dichiaratamente fascisti, il regime diventava persecutorio. lo ho fatto l’esperienza del carcere di Civitavecchia, che era allora considerato il più duro, fra il 1940 e il 1943. Erano anni di guerra tristissimi , per paese e que­sta circostanza si ripercuoteva entro il carcere attraverso i funzionari e a­genti fascisti.- per costoro noi, con­dannati come antifascisti, special­mente se comunisti, eravamo il «ne­mico», contro il quale essi conduceva­no una loro guerra particolare. lo ho descritto, servendomi di un docu­mento indiscutibile, forse unico, del quale ero venuto in possesso molti anni fa in circostanze singolari, caratteristiche ed episodi di quella guerra. In carcere in quegli anni, la lotta antifascista continuava in forme assai aspre. Quella fu la scuola nella quale si formarono alcune migliaia di quadri che più tardi costituirono l’ossatura delle formazioni armate partigiane. Insieme a Vittorio Foa e Carlo Ginzburg, ho pubbli­cato il documento cui ho accennato qui sopra: è il Registro delle punizioni che venivano inflitte ai de­tenuti politici nella casa penale di Civitavecchia fra il 1941 e il 1943. Questo documento, se non ne esi­stessero altri, basterebbe a qualificare la sostanza repressiva e reazionaria del fascismo.

I NUMERI DEL TRIBUNALE SPECIALE

Dalla sua istituzione, primo febbraio 1927, al suo scioglimento, con la caduta del regime il 25 luglio 43, il tribunale speciale per la difesa dello stato processò 5.619 imputati condannandone 4.596. Gli anni totali di prigione inflitti furono 27.735 anni di carcere , 42 le condanne a morte, di cui 31 eseguite, 3 gli ergastoli, 4.497 processati erano uomini, 122 le donne, 697 i minorenni. Tra le categorie professionali, 3.898 imputati erano operai e artigiani, 546 i contadini, 221 liberi professionisti.

Aldo Natoli


Usanze Domestiche

idrolitinaErano tante quelle usanze e qui ne voglio raccontare qualcuna delle più comuni allora che i meno giovani ricorderanno di certo, come l’ insetticida, le borse della spesa, il turchinetto. L’insetticida per noi era il “fritte”. Più precisamente non il prodotto insetticida, il D.D.T., bensì la macchinetta che spruzzava. Una macchinetta di metallo con tanto di serbatoio e stantuffo che agendo con il cosiddetto “olio di gomito” si riusciva ad “appestare” dappertutto.

Anche le borse della spesa, che sono state in uso fino al sessanta, ora sembrerebbero oggetti del medioevo. Erano le borse che facevano i calzolai con i “triangolini” di cuoio cuciti insieme: infinibili! Duravano per decenni e si presentavano anche bene, specialmente quelle di lusso con i colori della pelle sfumati che formavano dei bei motivi centrali, quasi sempre dei rombi.

Un altro comportamento tipico di quegli anni (e che nei successivi anni sessanta  non esisteva già più) era l’uso del “turchinetto” per il bucato. Una sostanza in polvere di un bel colore azzurro intenso che in minima quantità si scioglieva nell’acqua dell’ ultimo risciacquo e donava alle lenzuola un bell’effetto color bianco-azzurrino.

la_vecchinaMa altre piccole consuetudini della vita di allora si riscontravano anche in tavola, come il caffè, l’acqua frizzante e il tè. Il caffè si comprava ancora in chicchi e si macinava con un simpatico macinino dotato di una cassettina. Il caffè in polvere era solo quello dei surrogati, come “La vecchina” e il “Caffè Frank”. Mentre l’acqua che “mussava” era il lusso della domenica. Al  centro della tavola da pranzo, infatti, stava la bottiglia di litro con la bustina dell’ “Idrolitina”. Infine il tè sfuso, ridotto in minuscoli pezzettini di foglie nelle scatoline. I filtri arrivarono dopo qualche anno. Per tutto il decennio il tè si fece ancora, come dicevano Urbino e l’Angèla: col “pizzicottino”.

F.M.V.