Archivi giornalieri: 29 Agosto 2017


tempo di scuola, tempo di Eunica

Io sono stata con l’Eunica da quando sono nata. Fino all’anno scolastico 1952-‘53, si può dì’ che non la conoscevo nemmeno, ma nella casa di Puntaccolle, anche se non c’è mai stata, era come ci fosse sempre. Era l’ Angiolina, la mamma del suo marito Ranieri, che in casa mia c’era sempre; lei era proprio di famiglia. E anche Ranieri ci capitava spesso: tutte le volte che non trovava a casa la mamma (stavano a San Niccolaio) passava dal rio, di volata montava le scalacce e veniva su anche lui.

Ritorno un momento sull’Angiolina: anche se ormai eravamo negli anni cinquanta, teneva ancora i classici mutandoni dell’ Ottocento; quelli di “ghinea”, aperti sui fianchi e legati con le cordelle, ma anche lunghi fino ai ginocchi tanto che, quando si chinava, si vedevano bene anche dai vestiti.
Fino alla fine degli anni novanta, quando l’Eunica è venuta a trovarmi, abbiamo sempre ricordato questo particolare sull’Angiolina e sempre ci ha fatto ride’.

Vengo a concludere questa premessa riproponendo l’episodio sulla scuola elementare pubblicato su “Il Paese” nel novantasette.

La Scuola Elementare

Le prime cose che mi vengono in mente sono sempre le medesime:la cartella di cartone, i quaderni neri con l’ etichetta bianca (che costavano quindici lire); i calzettoni  a coste fatti a mano e “i nonni e gli sciantillì” (le pantofole e i gambali). E poi i grembiuli; quei grembiuli che in corrispondenza del taschino riportavano, ricamate, le iniziali del nome e sotto il nome un numero di linee pari alla classe che si frequentava. I bimbi le iniziali e i “gradi” l’avevano proprio sul taschino della “bruse” e i “carzoni” li portavano ancora alla “zuaba“.

Le cartelle erano leggerissime. Non solo perchè erano di cartone, ma perchè contenevano poco, molto poco: due o tre quaderni, il libro di lettura e, dalla terza in poi, il sussidiario. Oltre a questo, però, c’era l’indispensabile astuccio di legno corredato del porta-pennini. Quello sì che era ben fornito! Costituiva infatti l’unico lusso. Ed anche una certa “potenza”: quella del commercio-scambio dei pennini. Gli incovenienti  non mancavano, infatti le “patacche” d’inchiostro erano dappertutto. La brava “cartasuga” faceva il suo dovere, ma purtroppo asciugava soltanto. E la cosa andò avanti per anni, perché la scuola elementare si terminò con “penna e calamaio“.

Di maestre, ovviamente, ne avevamo una sola, anzi meno che una, perché se la nostra era assente, si andava tutti nella classe parallela. L’altra maestra anche per più giorni ci accoglieva tutti, sia pure in tre nel banco.

E la nostra maestra? Negli ultimi tre anni abbiamo avuto sempre la stessa ed il suo ricordo è rimasto indelebile a tutti. Io la “rivedo” anche adesso, come in fotografia mentre spiega la poesia “Il Parlamento“. Appoggiata in piedi davanti alla cattedra rivolta alla classe; con la vestaglia nera fatta a “portafoglio” e i capelli rossi ondulati che le scendevano sul collo.

A noi bimbe c’insegnava anche un po’ a cucì‘. Il mio compito di lavoro era un bavaglino bianco di picchè da orlare di rosso con il “punto a smerlo“. In più a questo, lei mi ci aveva disegnato “non baciatemi” da ricoprì’ con il punto  “a gambo“.  Tutte   le  volte  che lo prendevo in mano Alberto, Alberto di “Teto”, puntualmente esclamava: – “O’ bimba, o chi ti bacia”? – Eh, sì! Alberto e Massimo (del Nino) tiravano a fà’ ride‘. Massimo ne inventò una anche quando si fece l’unica fotografia (preziosa è dir poco) di quei tre anni: si mise in posa come una statua e stette a occhi chiusi apposta per ride‘. E poi c’era il Priori. Definì’ Renzo Priori con esattezza non è semplice, ma s’intende con una parola: un compagnone. Sempre pronto a fà’chiasso e a mette’ becco su tutto e con tutti. Persino al momento delle interrogazioni anche se impreparato (il suo forte era la storia) era sempre con la mano alzata.

Ogni occasione era quella giusta per divertirsi, anche la più banale. Si ripetevano ad esempio le preposizioni semplici “diadainconsupertrafra” tutte insieme così velocemente che “quella” maestra doveva faticà’ non poco per capì’ cosa si diceva. Oppure, sempre per sollevà’ distrazione, si pronunciava la parola “anèddoti” con l’ accento sbagliato, cioè “aneddòti”. Aveva voglia la maestra di insiste’ perché si pronunciasse correttamente . Era inutile!

Ma alla confusione più totale in assoluto ci si arrivò durante la recita della poesia: “La fontana malata” di A. Palazzeschi. Recità’ a turno una poesia che deve trasmètte’ gli strani rumori di una fontana che non gocciola più fu come trasformà’ la classe in un manicomio. Un punto, poi, era particolarmente terribile. Chi tossiva, chi affogava, chi rantolava. Ed anche in questa circostanza, “quella” maestra si sgolava tanto per riportarci alla normalità. Ma c’era un momento che anche lei partecipava alla nostra vivacità, era il magico momento che si cantava. E lei, con tantissimo entusiasmo, cantava con noi una canzoncina piacevolissima che ci aveva insegnato: “La cornacchia del Canadà“:

“Un giorno la cornacchia se ne stava sopra un pino
il corvo da lontano le faceva l’occhiolino,
ma la cornacchia bella si rideva di quell’amor
perché era innamorata di Cecchino il cacciator.
Oh bella, oh bella, oh bella
la cornacchia del Canadà
che si era innamorata,
innamorata da far pietà “!

ecc.

Grazie Eunica !

Maria Vittoria Filippi